Testo di Pietro Cerquatti
Attualmente poche pellicole emozionano realmente nel cinema transalpino, tolti casi eccezionali come la deviazione storica dell’impressionismo, ma quelli erano decisamente altri tempi che nulla hanno a che vedere con le nuove produzioni. In questo contesto La famiglia Bélier, di Éric Lartigau, si pone in punto “x” al di fuori di correnti cinematografiche o nazionalistiche limitando il campo d’azione alla commedia “sentimentale” condita con la musica o, meglio, il canto.
Il primo impatto con la pellicola è: “ecco la solita commediola francese”. Ma dura poco questa idea. L’argomento trattato, il sordomutismo, fa subito riflettere e scattar dentro qualcosa.
Francia, un paesino del quale poco importa il nome ne la reale collocazione geografica. Importa invece che sia immerso nella campagna dove la famiglia Bèlier trae una bucolica occupazione nell’allevamento del bestiame e nella vendita di formaggi. Il tutto scorre nella tranquillità più assoluta tra gli episodi di vita esilaranti nel rapporto con Paula la figlia sedicenne, unica della famiglia a non essere sordomuta, e con il resto della piccola comunità guidata da un primo cittadino senza scrupoli tutto intento alla sua rielezione che ai problemi dei concittadini e un maestro di canto frustrato dalla lontananza di decantati palchi parigini e la pochezza canora dei propri alunni. È proprio costui, un personaggio esiliato in una personale S. Elena, ad accendere nella ragazza la scintilla di vita che covava sopita nelle ceneri di una rurale routine e nella rassegnazione quasi da “badante” per la condizione familiare. Il maestro infatti riscontra nella giovane doti canore non indifferenti le quali meritano di essere sfruttate e coltivate nell’unico posto possibile ovvero nella lontana capitale. Per poter traslocare non manca l’occasione offerta da un concorso canoro.
Dato fuoco alle polveri, da qui in poi nulla sarà lo stesso. Il film gode di momenti ilari tipici della commedia per passare alla triste consapevolezza che le cose inesorabilmente stanno cambiando per la famiglia Belier ma non solo. Emerge un classico scontro generazionale tra i genitori e la loro figlia adolescente che pian piano cresce, si innamora e cerca qualcosa che vada oltre quello che la vita gli stava proponendo. La “rottura” qui ha una detonazione amplificata dal non udire. Appare come un forte paradosso ma quelle che sembrerebbero “normali” situazioni di un film da teenager qui fanno i conti con un handicap a tratti disarmanti.
Il concetto ideologico della mancata comunicazione tra genitori e figli in questa pellicola è una realtà tristemente tangibile. Questa è imposta dal nascere in una famiglia di sordomuti dove si è instaurata una situazione di vita tranquilla, una sorta di passiva accettazione del loro stato, una situazione che quasi rasenta il “disturbo” di avere una figlia udente. Il film improvvisamente catapulta lo spettatore nel ribaltamento del punto d’osservazione amplificando maggiormente la sensazione dell’inevitabile distacco delle parti. L’apice viene toccato in una scena, volutamente girata senza audio, durante un concerto. In questa sequenza lo spettatore realizza quanto possa essere straziante fatto che la famiglia non riesca ad udire il meraviglioso canto con il quale la propria figlia sta emozionando tutti i presenti.
Il finale è una deflagrazione di sentimenti un vero ordigno esplosivo emozionale che fa seguire gli ultimi minuti letteralmente con gli occhi lucidi. Attraverso il canto, non udito, ma attraverso il linguaggio dei segni, la famiglia comprende che non sta perdendo la propria figlia ma sta aprendo una gabbia dalla quale lei spiccherà il volo e lo farà cantando.
E’ proprio grazie al cantare che molte persone riescono a spiegare le ali, a volare liberi da tutto quello che le circonda e in questo caso la metafora del canto, e un testo azzeccatissimo, hanno liberato il turbinio di emozioni scatenatosi durante la visione. Il tutto lascia con una convinzione che per una volta una commedia francese ha veramente, decisamente e senza dubbio alcuno… emozionato al di là del successo di pubblico e critica. Un menzione particolare va agli attori che pur non essendo sordomuti hanno fatto un eccezionale lavoro di immedesimazione e resa dei personaggi.