Intervista a cura di Emanuele Meschini
Ha da poco finito un breve tour per presentare il suo ultimo lavoro intitolato “A sud di nessun nord”, 12 brani che hanno come filo conduttore il tema del viaggio e dell’incontro. Ama definirsi «scrittore ed eclettico cantastorie notturno dei viaggiatori in cerca di fortuna»: stiamo parlando di Antonio Pignatiello, cantautore irpino classe 1981 che si è avvicinato alla musica relativamente tardi, ma che della musica ha fatto il suo linguaggio artistico preferito.
Dalla tua biografia ho visto che ti sei spostato dall’Irpinia prima a Bologna e poi a Roma. Come mai questa scelta? Il viaggio ti ha caratterizzato fin da piccolo?
Ci si mette in viaggio per tante ragioni, e due sono i modi per viaggiare: puoi partire per girare il mondo, conoscerlo e forse fare ritorno alla tua Itaca, l’altro è stare seduto ad un tavolo e ascoltare le storie che arrivano dalla strada, dalla vita, o da un buon libro.
All’università hai studiato cinema: quindi non solo parole e musica, ma anche l’immagine ti influenza?
“Le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti in “Palombella Rossa”; un film è un’opera d’arte, è un’esperienza. Scrivere canzoni ti permette di muoverti nel tempo. Raccolgo le impressioni e le riporto sul pentagramma: Pellicole sul pentagramma.
Nel 2009 la musica: qual è stata la scintilla che ha fatto accendere questo fuoco?
È stato un incontro casuale alle 4 del mattino, durante una festa: non sapevo ci fossero musicisti in giro, tra una canzone e l’altra mi è stato chiesto se cantavo. Ho risposto che stavo cantando in quel momento, e ogni tanto suonavo a casa per i fatti miei. Quella conversazione è durata due giorni di fila e una settimana dopo mi sono ritrovato a cantare con i primi tre musicisti al seguito. Le cose accadono, non sempre le vado a cercare, è come se fossero loro a venire da me.
Nel 2013 esce il tuo primo album Ricomincio da qui: raccontamelo un po’.
Ricomincio da qui è un disco da camera invernale e nasce da una vicenda discografica molto travagliata; potevamo finire al tappeto subito e arrenderci, invece con Giuliano Valori e Pasquale Innarella ci siamo detti: “Bene, ricominciamo da tre”. E ho aggiunto: “Ricominciamo da qui, dalle nostre radici”, senza si resta polvere, “ed è una polvere da cui non cresce nulla” per citare John Fante.
Poi A sud di nessun nord: un titolo che racchiude, mi sembra di capire, tutta l’essenza di questo lavoro, ossia il viaggio, mi sbaglio?
Siamo andati alla ricerca di storie e luoghi da raccontare, e incontri pieni di imprevisti. E la vita di imprevisti ne regala sempre in gran quantità. E’ l’imprevisto che ti obbliga a scegliere in quale direzione continuare il viaggio; e in quella scelta si mostra il volto di ciò che siamo.
Anche la scelta di registrarlo in uno studio mobile mi sembra fondamentale per la tua ispirazione, no? La geografia come benzina per il tuo motore…
Il tema dell’ospitalità (sacra già nell’antica Grecia) e la condivisione si accompagnano alla musica e alla vita. Mi interessava raccontare quel che il viaggio e gli incontri portano, in questo caso un album di canzoni: prendere qualcosa dalla vita per poi riconsegnarla attraverso una canzone.
Questo disco lo potremmo definire come una raccolta di luoghi e persone? Ma ci sono anche ricordi e memorie no?
“Ci sono molte storie e ricordi. C’è persino un episodio felliniano. Quel giorno dovevamo registrare la batteria in una cascina vicino Ferrara per ottenere un certo tipo di suono. Montiamo i microfoni, si inizia a registrare, ed ecco che un cane, che poi è diventato il protettore del disco, inizia ad abbaiare. Riproviamo e ancora quell’abbaiare. Così sono andato a parlargli e gli ho chiesto se poteva gentilmente farci finire il lavoro, e ho aggiunto che sarebbe stato lui l’ospite speciale del prossimo disco. Mi ha dato la mano e se n’è andato al bar per un paio d’ore. E’ stata poi la volta di un vecchio bestemmiatore che ha iniziato a fare tutta la lista dei santi, mentre il suo tagliaerba faceva un rumore infernale. Eravamo di nuovo al punto di partenza, incerti se aspettare o lasciar perdere. E’ apparsa così una vecchietta che vendeva santini. La signora sentendo nominare tutti quei santi, ha preso a correr dietro al tagliatore, il quale vedendo la vecchietta, ha spento tutto quanto ed ha iniziato ad allontanarsi affrettando il passo. In quel preciso istante il cane ha fatto ritorno e, vedendo quella scena, non ha resistito a correr dietro alla vecchietta, ai santini che volavano in aria, e al tagliatore di erbe. A suo modo, quel cane, ha dato un forte contributo alla riuscita di questo lavoro. Gli sono grato.
Collabori spesso con altri artisti: cosa significa per te questo?
Tutto il disco, anche per quel che riguarda la parte grafica e “pittorica” è stato concepito come un’opera in cui ognuno ha portato qualcosa di sé. Dagli incontri si impara molto se si ha la voglia di ascoltare e osservare. E’ qualcosa che va al di là della canzone stessa. La musica si fa per condividerla e suonarla insieme, non per vanità.
Sei un artista eclettico, quali altre forme d’arte ami?
Ci sono molte forme d’arte che amo: oltre al cinema, c’è la poesia e la letteratura. Ho molti racconti, poesie e due romanzi già scritti. Per il momento li ho messi a fare figli al reparto maternità… quando sarà il momento li manderò a passeggio per andare incontro alla fortuna.
Cosa vedi nel futuro di Antonio?
Sempre in viaggio, alla ricerca di orizzonti lontani e musiche da scoprire…e mare, e luna e stelle con cui riempirsi gli occhi…e strade e storie da ascoltare e riconsegnare alla vita attraverso il canto e la scrittura. E’ con la scrittura che possiamo ritrovare il viaggio, e rinnovarlo.
In bocca al lupo! Per tutto.
Grazie. Crepi il lupo!