Tra i batteristi maggiormente apprezzati in Italia e all’estero, David Folchitto è un maestro di tecnica, disciplina e umanità

Intervista di Francesca Di Ventura

Si nasce, si cresce, si lavora, ma per quanto possiamo cercare di chiudere i nostri talenti nel cassetto, essi finiscono per bussare alla porta del nostro cuore. David Folchitto è un sistemista in una grande azienda di telecomunicazioni, quando realizza che la sua passione per la batteria, unita alle sue rare abilità, può essere alimentata al punto da divenire una fonte di sostentamento. E’ un rischio che richiede coraggio, ma a David non manca, perché quel cassetto è ormai troppo piccolo per contenere i suoi sogni. Raccogliendo la sfida, lavorando con costanza e senza risparmiarsi, oggi David Folchitto è tra i batteristi più quotati sia a livello Nazionale che Internazionale, prestando servizio stabile per band acclamate quali Stormlord, Screaming Banshee, Prophilax, Engelstein, Mesosphera, e accorrendo in aiuto di chiunque abbia bisogno di una base ritmica solida, garantita, sul piano tecnico così come su quello del feeling.

Come è avvenuto il tuo incontro con la musica.

DF: Ero adolescente, appassionato dell’heavy stile Helloween, Metallica, Manowar, e accarezzando l’idea di suonare, all’inizio volevo diventare chitarrista! Ma ho realizzato ben presto che non era quello lo strumento cui ero destinato. Quasi per gioco poi mi sono ritrovato a percuotere oggetti che trovavo in casa come cuscini, elenchi del telefono, riscuotendo il gradimento di amici e parenti che continuavano a dirmi che avevo talento. A 17 anni le mie prime prove in sala: un mezzo disastro (sorride). Ero molto focalizzato sulle gambe, ma malgrado il poco tempo per studiare, la curiosità che mi è propria così come il desiderio di conoscermi, comprendere i miei limiti e superarli, mi hanno condotto presto ad unirmi a numerosi gruppi, molto diversi tra loro.

Che influenza ha la musica su un adolescente.

DF: Ti distrae dallo studio, ma anche da ambienti pericolosi. La voglia di trasgressione tipica di quella età, che purtroppo in alcuni si canalizza in esperienze non propriamente educative, trova sfogo nella musica, specialmente nel suonare uno strumento, e ancor più la batteria. Terminato il liceo, con un diploma scientifico, ho iniziato a lavorare per sostenere i miei studi musicali. Mia madre, che non smetterò mai di ringraziare, con polso mi fece capire che se davvero avessi voluto studiare musica, avrei dovuto lavorare. Ho affrontato sacrifici enormi, studiando lavorando e suonando. Ma è proprio di fronte a queste prove che comprendi quanto valga per te un sogno, cosa tu sia realmente disposto a fare per esso.

Quando hai capito che poteva divenire un lavoro.

DF: 3 anni fa, lavoravo come sistemista in una grossa azienda di telecomunicazioni, quando ricevo la telefonata di un amico che mi chiede se mi va di dare una mano ad una band slovena con una data a Roma del loro tour europeo. Quando ascolto i pezzi, in prima battuta ho uno shock: sono complessi, strutturati, comincio a farmi mille domande sulla reale possibilità che io possa suonarli. Ma poi decido di provare, e benché avessi a disposizione solo 4 ore al giorno, con impegno e costanza e la voglia fortissima di farcela, sono riuscito ad avere tutto il set pronto, e a portare a casa un successo. Ecco, quella esperienza ha segnato la svolta, dentro di me. Mi ha dato la consapevolezza che potevo farcela, che sono un lottatore, e che sviluppando abilità e tecnica avrei addirittura potuto trasformare questa passione in un lavoro.

Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi di un session.

DF: Il fatto che possa capitarti di tutto per me è uno degli aspetti più positivi, di fatto per quanto il materiale sia spesso complesso, essendo molto orgoglioso sono spronato a vincere la sfida. Ho bisogno di mettermi sempre in gioco, e trovo stimoli nella eterogeneità delle prove che affronto. Con il tempo ho compreso l’importanza di stabilire un feeling con il committente, poiché la tecnica non è sufficiente, e il risultato ottimale viene dalla massimizzazione della performance esecutiva e la coesione tra i musicisti e la loro abilità di comunicare con il pubblico. Si potrebbe dire che il lato negativo è il dover suonare anche ciò che non ti piace, ma sinora sono stato molto fortunato, e le rare volte in cui non sono proprio riuscito a ritrovarmi nel materiale inviato, ho preferito non accettare il lavoro. Fare questo mestiere ti porta ad imparare ad essere focalizzato sul pezzo, e non sul virtuosismo sterile. Non si tratta di mostrare le proprie abilità, ma di far ruotare tutto intorno al brano.

Hai mai rimpianto un lavoro diverso.

DF: I momenti più bassi sono stati quelli in cui la concentrazione sul lavoro ha preso il sopravvento al punto da farmi perdere la dimensione del divertimento. Il giorno in cui suonare dovesse essere per me un timbrare un cartellino, quello sarebbe il giorno in cui smetterei (ma spero non arrivi mai).

Che legame hai con le band con cui suoni.

DF: Dalla band con cui suono in modo stabile, a quella che ho visto per una serata soltanto, la mia carta vincente è stata proprio il saper instaurare un rapporto di dinamico scambio e trasparenza. Più il tempo passa è più mi convinco che prima ancora del saper suonare, conta l’educazione, la lealtà, lo spirito di adattamento, di coinvolgimento. Ho visto spesso band propendere per un musicista di livello inferiore ma in grado di garantire stabilità e disponibilità, rispetto al mostro di bravura arroccato sul proprio piedistallo e non integrato nel progetto.

Hai un modello cui ti ispiri.

DF: I batteristi che nel tempo si sono susseguiti negli Helloween, e poi Jorg Michael,  Gene Hoglan, Dave Lombardo, che prima di essere incredibili talenti musicali sono persone, di una umiltà indescrivibile. Ad ogni modo traggo ispirazione da tutti i musicisti, sono uno che impara con lo sguardo. Spesso alle serate di band di amici dai passi del collega di turno traggo l’illuminazione per un arrangiamento, un passo, uno stacco.

Ami le clinic, perché.

DF: Sono un maniaco della condivisione. Insegnare è imparare due volte, poiché spiegando agli altri comprendi meglio anche tu. Ho sviluppato tecniche riconosciute valide su larga scala. E ho capito che condividere non ti toglie il lavoro, semmai lo moltiplica, poiché un allievo preparato è un ottimo biglietto da visita. Cerco sempre di instaurare un livello di comunicazione paritario. Attualmente la scena internazionale vede molteplici batteristi Italiani apprezzati. Questo è il momento di spingere, ed investire sulle nuove leve.

La più grande lezione di vita acquisita sin d’ora è che se sei generoso, il bene che fai ti torna indietro.

Sei un sostenitore convinto dell’underground.

DF: Assolutamente. Gli Italiani hanno l’arte nel sangue, e numerose sono le band Italiane che si stanno scontrando con realtà Internazionali. Sostengo l’underground perché se la scena scresce, è un vantaggio per tutti. La coesione tra band a dispetto delle guerriglie è l’unica via per innalzare la qualità e crescere.

Quanto conta la dimensione live nel business musicale oggi.

DF: Il primo mezzo per farsi conoscere massivamente oggi sono i video live: i dischi sono elaborati al computer, ma live non si mente, non si può imbrogliare. Il momento che preferisco di un live è il rapporto con i fan dopo la performance. Sono un fan dei miei fan, la loro stima mi onora e il mio compito è quello di meritarla sempre, e farli sentire speciali come loro fanno con me. Ho suonato in condizioni assurde, con la batteria che si smontava, la pioggia che filtrava dal tetto del locale, ma nulla mi ha mai fermato. E’ una forma di rispetto verso il pubblico.

Il tuo ricordo più bello.

DF: Non posso non nominare la clinic con Dave Lombardo, che resterà sempre tra le mie memorie più dolci. Ma ricordo anche una serata in un locale la cui batteria aveva lo sgabello difettoso, al punto in cui ad un certo punto mi sono ritrovato per terra, ma ugualmente ho continuato a suonare, rialzandomi e suonando in piedi. A fine show ero depresso e sconsolato, mi sentivo sconfitto. E invece sono stato subissato di complimenti, e i presenti mi hanno celebrato come un eroe. Per non parlare dei live in cui, indossando la T-shirt di una delle band con cui suono in modo stabile, mi sono sentito dire dal mio vicino “Wow, li conosco, il batterista è una macina!” (sorride).

Per info: https://www.facebook.com/pages/David-Folchitto-Drummer/198142213560277

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