Recensione a cura di Carmine Rubicco
The dark side of rock. Mai definizione fu più calzante per una band. Il lato più oscuro ed evocativo, non esotericamente parlando, delle produzioni degli ultimi anni. I calabresi Other Voices, alla loro seconda fatica, centrano perfettamente il bersaglio. Un disco trascinante, che va ascoltato così come è, senza affrettare l’evolvere dei brani. E questo è un crescendo traccia dopo traccia. Un crescendo e uno sprofondare in abissi e profondità che sembravano essere state sepolte con la morte della new vawe gotica. Invece no. I Cult più oscuri, il Ian Astbury più ispirato, così come i Joy Division più cupi fino ad arrivare ai Cold Play più onirici è tutto raccolto in questi solchi a creare un amalgama identificabile ed originale seppur perfettamente “etichettabile”. Un plauso va certo alla voce di Vincenzo Amato, moderno nocchiero in un mare di oscure emozioni. Encomio anche i musicisti che riescono a creare giuste atmosfere senza mia esagerare con gli arrangiamenti, senza sfociare in inutili barocchismi. Menzione speciale per la sezione ritmica in Journey, tra i brani meglio risuciti.
Un bel disco. Ottima produzione, pulita e al servizio dei brani, ottima tecnica dei nostri. Non certo un ascolto disimpegnato e leggero, ma quanto mai consigliato se si amano questo tipo di atmosfere. Difficilmente si potrà ascoltare qualcosa di altrettanto valido da qui alla fine dell’anno.