Recensione a cura di Carmine Rubicco
Quando una congiunzione può salvare un film. Perché di questo si tratta. Se Ghost in the shell si fosse chiamato Ghost and the shell , film liberamente ispirato e non ‘trasposizione filmica’, sarebbe stato molto meglio e le cose sarebbero andate diversamente. Si perché al di là del risultato strettamente cinematografico si deve tener presente una cosa chiamata onestà intellettuale se si fa un film tratto dall’opera di un altro autore. Anzi, se si fa un film ricalcato sul’opera di un altro. Come spesso avviene le chiavi di lettura non sono univoche. Lo spettatore medio che non conosce né il manga né tantomeno l’anime non potrà che godere ed essere appagato dalla pellicola in oggetto. Effetti speciali strabilianti, trama accattivante, interpreti abbastanza in forma, scenari mozzafiato, soprattutto i landscape sulla città. Dall’altra parte c’è chi invece le opere di Mamoru Oshii, regista dell’anime, e Masamune Shirow, autore del manga, le conosce e le apprezza da sempre. Questa seconda tipologia di fruitore del film non potrà che rimanere profondamente deluso. La pellicola di Rupert Sanders non rispetta in minima parte quello che la storia è davvero capovolgendone grossolanamente non la trama ma i valori e ciò che la rende particolare. Non è la storia di un cervello umano innestato nel corpo di un cyborg. È la storia di un cyborg che sviluppa una auto coscienza tale da iniziare a porsi domande fondamentali sulla vita tra le quali la differenza tra un essere cibernetico e un umano. Non evidenziare questo aspetto o travisarlo vuol dire non aver capito con cosa si ha a che fare o, peggio ancora, non rispettare volontariamente l’opera di altri artisti. Legato a questo aspetto c’è quindi il decadimento di tutto il film sottolineato dalla messa all’angolo di personaggi importanti come Togusa che è in realtà la controparte della protagonista e di Batou in quanto completamente umano e non potenziato. Al di là degli artefici narrativi che hanno portato a stravolgimenti passabili, non c’è la minima coerenza di base. Lo stesso cattivo non è quello vero. Il Burattinaio dell’anime è stato cancellato per far posto ad un fantasma, ad un’ombra che non ha senso se non grazie all’intervento del Maggiore. In realtà sarebbe l’elemento di sintesi tra le parti, ciò che mostra alla protagonista l’esistenza di una coscienza più ampia e che travalica l’aspetto fisico. Lo stesso finale è del tutto strumentale e inesistente. Allo stesso modo Scarlett Johansson, perfetta per la parte, viene trattata come qualcosa che non è. Nell’opera originale la protagonista è ‘più umana dell’umano’, prendendo in prestito una citazione da Blade Runner. È una donna. Nel film si muove come fosse un robot danneggiato.
La domanda che resta senza risposta è: per chi è stato girato questo film? Per gli appassionati o per cercare di attrarre nuovi spettatori? Ghost in the shell non è un prodotto Marvell, non ha lo stesso appeal commerciale e non basta un nome altisonante a spingere le persone ad andarlo a vedere. In ogni caso si tratta di un film di fantascienza. In ogni caso va tenuta presente la scarsa curiosità dello spettatore medio e la sua affinità con prodotte meno impegnativi. Dimostrazione ne è che in fila al botteghino il film col maggior numero di spettatori era Fast and furious 8. Non si può fare un ibrido da un’opera così complessa sminuendone quella che è la sua reale validità e forza. Un vero peccato, sarebbe potuto essere un vero capolavoro, e il tutto grazie ad una congiunzione.