Si è concluso con la proiezione di questa sera al Maxxi la première mondiale di
“Dons of Disco” all’interno della Festa del Cinema di Roma.
Il documentario del newyorkese Jonathan Sutak racconta la scena Italo Disco, che ha scosso i dancefloor di tutta Europa e non solo…, attraverso il suo caso più emblematico, che offre spunto sulla riflessione, perfetta per tutta la creazione artistica degli anni ’80, sull’alleanza, e spesso prevalenza, fra immagine e sostanza.
Si parla infatti del progetto ‘Den Harrow’, progetto dalla perfetta riuscita marketing, fra l’immagine di x, la voce di y, la musica di y (sì, perché in questo caso coincidevano) e la produzione di z. Il risultato? Milioni di copie vendute, centinaia di apparizioni in tutta Europa, un successo dimenticato dai più ma mai scordato da un folto numero di appassionati dai quattro cantoni del mondo. E una domanda: tutto questo ha sì creato un ‘fenomeno’, ma non ha forse creato anche un grande ‘inganno’ collettivo? In effetti la natura ‘multifaccia’ del progetto è stata svelata quasi trent’anni dopo, quasi per caso: fino al 2010 nessuno (o quasi) sapeva infatti che viso e voce non appartenevano alla stessa persona…
Il caso ‘Den Harrow’ viene raccontato da Sutak con grande equilibrio, potremmo quasi dire ‘equilibrismo’…, senza prendere parti ma illustrando i fatti attraverso la testimonianza diretta di una serie di persone coinvolte nei fatti. A partire dall’x, y e z di cui sopra (rispettivamente Stefano Zandri, il volto, Tom Hooker, la voce e l’autore, Alberto Turatti e Miki Chieregato, i produttori – e quest’ultimo anche compositore), oltre all’intervento di giornalisti, appassionati, cultori di provenienza diversa.
Al pubblico, la sentenza finale.
La proiezione romana ha avuto nel pubblico alcuni dei protagonisti del documentario, fra i quali lo stesso Tom Hooker. L’artista americano è infatti l’artefice in primis della creazione ma anche dell’interpretazione di alcuni tra i maggiori successi internazionali dell’epoca. Parliamo di Looking for love, Help Me, Atlantis, Feeling Okay… Ma anche di Future Brain, Bad Boy, Charleston e Don’t Break My Heart, convogliati nel progetto ‘Den Harrow’, progetto il cui successo, secondo le dichiarazioni dello stesso Turatti, è stato tale da orientare la casa discografica (la stessa per entrambi) a ‘sacrificare’ in qualche modo l’attenzione sulla carriera musicale di Tom Hooker a favore di quella legata al marchio ‘Den Harrow’, di cui però Hooker era, col doppio ruolo di voce e autore, meritevole artefice!
Per Tom Hooker – che ha assistito al documentario per la prima volta a Roma, proprio come il pubblico in sala – tanta emozione. Al di là infatti di una querelle legale sul diritto di utilizzo della voce altrui fuori dagli ambiti contrattuali, quel che va riconosciuto è che la scena Italo Disco è stata davvero un fenomeno senza confini: la prima volta che il nostro Paese ha saputo rivaleggiare – e mettere a segno svariate vittorie – su un terreno che sino ad allora vedeva il monopolio assoluto delle produzioni angloamericane.
E così questi giorni romani per la première di “Dons of Disco” hanno permesso a Tom Hooker (in patria noto come fotografo, sotto il nome di Thomas Barbèy) di sentirsi l’americano orgoglioso di aver portato il suo contributo al successo di un fenomeno italiano, che per assurdo viene dimenticato (o addirittura snobbato…) da molti italiani mentre viene invece ricordato ed omaggiato da un altro americano in un documentario che da Roma parte ora per i festival USA di Hot Springs (Arkansas, 20 ottobre), poi al Portland International Film Festival (Oregon, 27 ottobre) e a seguire Los Angeles e altre località.
…Lo strano destino di molte eccellenze italiane, che fino a quando non vengono ‘riconosciute’ all’estero sono ignorate in patria…