Recensione a cura di Carmine Rubicco
Ascoltare questa seconda prova degli emiliani è un po’ come trovare dell’oro in mezzo ai sassi, delle sorprese sotto cumuli di vecchi ricordi. molteplici sono infatti i tratti più che buoni del disco che scorre su coordinate rock con diverse influenze. Ed è dalla miscelazione di queste che emergono le cose peggiori. Ottimi spunti, si pensi all’attacco e al cantato dell’opening track Bad moon, si disperdono in banalità incredibili (il ritornello del su citata va oltre il già sentito). Medesimo discorso lo si potrebbe fare per la seguente You don’t have to go. Ci si risolleva, anche se con un enorme debito verso i Beatles, con la successiva Hope you like it. Le reminiscenze dei quattro di Liverpool aleggiano costantemente nel cd, pur non diventando stucchevoli. Stilisticamente le coordinate sono dunque queste, rock anni 60/70 mischiato con una certa parte acida, ma non troppo, della scena di Seattle dei primi anni 90. A questo va aggiunto lo stile chitarristico di Jesus, che molto deve in termini di influenze al buon Bettencurt, il che non è esattamente negativo. A livello di priduzione, pulizia e scelta dei suoni il disco si pone senza dubbio tra gli ottimi prodotti che ultimamente si presentano sul mercato. Suoni scelti con gusto e mixati con decisa perizia. In definitiva questo disco degli Sticky Fingers va certamente ascoltato più di una volta per non farsi fuorviare dal già sentito che vi aleggia. I ‘ragazzi’ sono bravi e si sente. Devono solo ancora scrollarsi di dosso i riferimenti stilistici per dare completamente aria e sfogo alla propria personalità, che non fa difetto.