Esordio discografico per il cantautore novarese
Fortunatamente, ogni tanto, capitano dei dischi in cui la dicotomia tra parte strumentale e voce pende a favore della seconda. Per recensire il debutto del novarese Andrea Fabiano, la Timidezza delle chiome, si deve per forza seguire questa via.
Non fosse altro che per la struttura stessa del disco e la sequenza delle canzoni. E si, perché, dei sette brani di cui si compone il mini, tre analizzano, da un punto di vista sempre intimista e personale, il ‘distacco’, mentre i rimanenti tre prendono in considerazione il ricongiungimento. A fare da trait d’union il brano che dà anche il titolo al disco.
Approfondendo l’analisi. Strumentalmente ci si trova di fronte ad un disco con arrangiamenti minimali in cui prevale il lato acustico, notturno, jazzistico, grazie anche agli interventi della tromba. Un substrato musicale che lascia giustamente spazio ai testi, vero punto di forza del lavoro.
Mentre campanelli, tromba e chitarra acustica, con una batteria che c’è ‘ma non si sente’, nel senso che non è mai invasiva, disegnano arabeschi di una notte d’estate, la voce prende per mano l’ascoltatore conducendolo in un viaggio poetico. Un viaggio che non è solo nel vellutato e fragile, come tutti, mondo interiore dell’autore.
È un viaggio in realtà dentro se stessi attraverso parole altrui. L’ascoltatore non può non immedesimarsi con le parole. Anche solo per un mero senso di confronto. È in questo modo che nasce un dialogo tra le canzoni e gli ascoltatori. Forse è anche questo il motivo per cui il nostro predilige, in versione live, posti piccoli, intimi, dove è possibile anche parlare con il pubblico nel vero senso della parola.
Altro aspetto positivo del disco è che Fabiano è riuscito lì dove troppi falliscono, ovvero, a creare un contesto al quale la sua voce si adatta perfettamente. Non è mai una voce urlata. Piuttosto è una voce che si sente amichevole. Non vuol dire già sentita, ma amica, pur se i temo trattati sono personali e riservati. Stilisticamente si è nel cuore del cantautorato contemporaneo.
Pur se proprietario di una tecnica vocale notevole, il nostro lascia che siano i sentimenti ad esprimersi. È per questo che ci sono diversi riferimenti nelle composizioni e nelle metriche dei testi. Si può passare da strizzatine d’occhio a refrain catchy dei pieni anni 80, passando per i cantautori e le band cantautorali degli anni ’90 per terminare con i nomi di spicco dei sopravvissuti dopo il 2000. Resterà deluso chi conosce Fabiano e pensava ad un tributo a Niccolò Fabi, grande riferimento per l’autore.
In conclusione questa Timidezza è un buon debutto che potrebbe non perdersi nel marasma odierno dei cantautori. È un disco che non vuole dimostrare nulla ma vuole solo esprimere. E forse proprio questo lo mette in una condizione di unicità rispetto ad altri prodotti simili.
Non avendo paura di deludere, non avendo pretese ma volendo solo essere un disco con delle storie cantate, riesce a trascinare via gli ascoltatori. Un disco che merita di essere nelle discoteche dei più. Sia di chi ascolta da sempre musica italiana, sia, e forse di più, per chi non la scolta ma ama le sorprese e vedere smentiti i propri pregiudizi.
Un disco da ascoltare in silenzio, possibilmente in estate, con un buon bicchiere di vino mentre la notte scorre via senza che ce ne si accorga. Oppure da sentire in compagnia o di una persona speciale o di amici con la A maiuscola perché tra i solchi c’è una parte di noi che pochi conoscono o sono destinati a conoscere. A questo punto non rimane che attendere il prossimo passo discografico del musicista novarese.