Restituitemi il mio corpo
Un racconto di Carmine Rubicco
Diamo inizio da questa settimana ad una vetusta abitudine messa in campo da riviste molto molto tempo fa, ovverosia la pubblicazione a puntate di un racconto. La cadenza sarà settimanale. Per questo primo esperimento si tratta di un narrazione di fantascienza ambientata in un non meglio identificato futuro nel quale si intrecciano, quasi casualmente, le vicende di 4 protagonisti apparentemente indipendenti l’uno dall’altro: un detective privato alla ricerca ‘del buon Philip’; un terrorista, che rivendica la libertà di un gruppo organizzato, inseguito dal poliziotto di turno; una fuggitiva che crede le siano stati sottratti i prezzi del suo corpo per essere sostituiti con pezzi artificiali. Ovviamente, l’epilogo finale dice una cosa diversa. Sono 24 capitoli per 24 settimane.
Capitolo 1
“Ennesimo delitto scoperto questa notte al confine del quartiere settentrionale. La polizia afferma trattarsi della stessa mano dei cinque precedenti. Il corpo della vittima, identificato solo attraverso analisi del DNA con John Smith, avvocato, è stato rinvenuto vicino ad un cassonetto dei rifiuti orrendamente mutilato. Ad una approfondita analisi dei resti ritrovati sembra che manchino, come nei casi precedenti, alcuni organi e un arto. Gli inquirenti brancolano ancora nel buio. Non hanno idee sul possibile responsabile. Per quanto riguarda il movente – ha dichiarato il commissario Ryoko – non è difficile ritrovarlo nel traffico illecito di organi. La popolazione inizia ad essere spaventata. Il serial killer agisce senza una regola precisa. Chiunque potrebbe essere una vittima. Continuano gli inviti alla prudenza. Passiamo ora alle altre notizie…”.
Allo Skulls Club la giornata termina così. Pochi clienti abitudinari. Luci basse e odore di fumo. Nessuno osserva lo schermo. Tutti ascoltano con gli occhi fissi sui propri pensieri.
“Che animale” sentenzia il barista, un incrocio tra un essere umano e un robot per la quantità di innesti e trapianti. Un altro bicchiere è stato lavato per la quindicesima volta.
“Che ferocia. Come si fa ad essere così sanguinari. Ok gli organi, ma ridurre una persona in quello stato”.
Nessuna risposta. Sbuffi di fumo salgono da diversi sgabelli lungo il bancone.
Più concitate le reazioni alla centrale di polizia.
“Accidenti a lui. Guarda che roba – sbotta il commissario Ryoko osservando le foto sullo schermo – E’ incredibile tanta atrocità”.
Fuori dall’ufficio, a stento tenuti a bada dall’agente di turno, un nugolo di giornalisti cerca di avere notizie.
“Non potete escluderci, la gente ha diritto di sapere. E’ il quinto delitto nel giro di un mese e mezzo. Chi è e perché lo fa?”.
“Vorremmo saperlo anche noi signor…” interviene Ryoko sull’uscio.
“…Thompson…Dick Thompson, Daily News”.
“Be, signor Thompson, le sue domande sono più che pertinenti, ma per ora dovranno restar senza una risposta”.
“Ma un indizio, un semplice sospetto lo avrete”.
“Non sono autorizzato a parlarne”.
“Ci dica almeno se si tratta di un cyborg o di un essere umano”.
“Non posso…”
“Ma insomma…”
“Scusi, ma se le dicessi che è un droide, tutti quelli della città verrebbero automaticamente messi al muro. Allo stesso modo, se dichiarassi che è un essere umano nessuno si fiderebbe più di nessun altro peggio di come accade già oggi”.
“Ma il silenzio non aiuta, così comunque non ci si fida di nessuno, ne umano ne cyborg”.
“La metta così, non voglio fare discriminazioni, anche perché e, lo sa meglio di me, ancora non è chiaro il limite tra macchine e uomini. Ora se volete scusarmi, torno alle mie indagini”.
Ryoko chiude la porta su un frastuono di proteste e di insulti.
Sul terminale troneggiano ancora le immagini dei delitti.
Recuperando la concentrazione si lascia andare sulla sedia.
“Dunque – pensa tra sé analizzando i rapporti dei medici legali – Nei quattro delitti precedenti ai corpi sono stati asportati, o meglio, sono stati rubati, tre arti, un fegato, un pancreas, una milza, gli occhi, i cuori. A quest’ultimo sono stati portati via gli occhi, coma agli altri e, un piede. Ammesso che si tratti di furti su commissione, che diavolo se ne fanno degli arti? Oggi nessuno si farebbe trapiantare un arto vero quando ha a disposizione quelli artificiali nettamente migliori, meno costosi e più resistenti. Non c’è mercato per l’ottanta per cento della roba sottratta, eccezion fatta per gli occhi e pochi altri ‘pezzi’. Da questo posso dedurre che non si tratta di un professionista. Nessuno sottrarrebbe merce che non può essere rivenduta. Uno psicopatico? Può darsi, ce ne sono talmente tanti in giro. Non sarebbe poi così improbabile che qualcuno possa essere impazzito a tal punto”.
Sulla scrivania al centoundicesimo piano della Copstower, nell’angolo di una camera completamente asettica, pareti bianche, piante di plastica e musica chill out in sottofondo, sono accumulati rapporti e analisi di psicologi, psicoanalisti criminali, sociologi e medici. Tutti concentrati per cercare di capire. Nella speranza di cogliere un filo conduttore che possa far risalire ad una tipologia di assassino e liberare così la città dall’incubo in cui è stata trascinata suo malgrado.
“Niente – sentenzia Ryoko dopo aver letto per l’ennesima volta l’ultima analisi dell’ultimo delitto – Nessuno elemento di aiuto. Ogni volta cambia tutto. Modalità, arma, tipo di vittima. Non c’è differenza tra uomini e donne. Non c’è fascia di età o di appartenenza sociale. Di certo non si tratta di aggressioni politicizzate o a scopo sessuale. Nessuna delle donne uccise ha subito violenza, eccezion fatta per il trattamento loro riservato. Ma questo vale anche per gli uomini. Unico filo conduttore, l’accanimento e l’espianto degli organi e l’asportazione degli arti ora. Poveracci – pensa il commissario avvicinandosi alla finestra che riaffaccia sulla città. A 95 metri sulla città – Spero solo che quando sono stati “operati” fossero già morti…”. Il comandante si riempie stancamente un bicchiere del frigo bar. Dal secondo cassetto della scrivania estrae il solito cofanetto. E’ così comodo procurarsi certe sostanze dalle retate. In un solo boccone due dita di brandy e una pastiglia arancione trasparente si perdono in gola. Abbassa le luci. Apre del tutto le tende che coprono parte delle finestre. Si avvicina ad osservare, come spesso fa, la sua città dall’alto. Nessun rumore, nessun casino da risolvere. Infinite luci e nessun suono. Quasi quasi quando è così gli piace quel posto. Non ha mai imparato ad apprezzare del tutto le possibilità di una grande metropoli. ‘Troppo poco a misura d’uomo’ ha sempre pensato. Un altro sorso di liquore. La luce dello schermo con l’ultima vittima dell’assassino illumina senza sosta parte della stanza. Si allenta la cravatta. Cerca di riprendere possesso di sé. Lucidità. La droga gli serve per stare in piedi senza sentire la stanchezza, per migliorare le prestazioni neuronali. Le pastiglie aiutano le sinapsi. Da due anni, come a tutti i comandanti, gli sono stati impiantati nel cranio, sotto la calotta per la precisione, dei moltiplicatori di impulsi. Doveva imparare a ragionare più velocemente e ad avere i riflessi più pronti. Il dipartimento non scommette su ciò di cui non è sicuro. Mentre osserva distrattamente quello spettacolo conosciuto, al limitare del campo visivo un bagliore crescente attrae la sua attenzione. Non ha il tempo di voltare gli occhi.