Ridatemi il mio corpo
Capitolo 9
Questa è una città che ha difficoltà ad addormentarsi. Ogni notte qualche incubo ne tormenta i sogni.
Maschere antigas, scudi protettivi e elmetti lucidi gli passano accanto in silenzio. Nessun ostacolo sul loro cammino. ‘Il killer!’ prima che possa rendersene conto il pensiero si è formulato in testa ed è uscito allo scoperto. Il corpo è fuori controllo. Gli innesti si attivano da soli e senza avere il tempo di respirare, solo di spintonare chi gli sta attorno per farsi spazio, si ritrova a rincorrere i poliziotti verso le fiamme. Il cielo non ha stelle. Le nuvole rigettano solo pioggia. Arranca ma non si ferma. Le torri in fiamme si fanno sempre più vicine. La folla si accalca a cornice del corridoio creato dai militi e dai mezzi di trasporto dell’esercito. ‘Mi sa – pensa tra un respiro e l’altro – che qui è successo un casino’. La gente si sposta senza scomporsi. Abitudine. Assuefazione. I mezzi di soccorso corrono avanti e indietro senza sapere bene dove e quando fermarsi. Lungo la strada non vede feriti. Il caldo delle fiamme inizia si fa sentire. Le anime di lega delle torri della città si piegano lentamente. Inesorabilmente arrivano a terra quasi senza uno schianto. Non sembra neppure stia succedendo davvero. ‘Ma cosa diavolo hanno combinato?’ si chiede fermandosi poco lontano da una recinzione. In lontananza reparti speciali dell’esercito bloccano qualunque battére cerchi di passare oltre il loro cordone. Cerca di capire qualcosa. Soprattutto tenta di riprendere fiato e mandare un po’ di ossigeno al cervello in modo da poter pensare. Gli innesti si sono disattivati al rallentare della corsa. ‘E così – commenta con la mani appoggiate sulle ginocchia e la testa pesantemente alzata ad ammirare lo spettacolo incandescente – così ce l’hanno fatta. Non è il killer. Sono riusciti ad entrare e a fare un gran casino da dentro. Chi sa quanti erano e se se ne è salvato qualcuno di questi maledetti guerriglieri dell’Io’. Lentamente e silenziosamente la pioggia si fa più fitta. Erano proprio nuvole quelle che non si vedevano ma emanavano un odore di pioggia. Quella pioggia che si sa già non smetterà troppo in fretta. In lontananza una macchina della polizia a tutta velocità. Ha solo il tempo di capire che si è fermata quando vede scendere Ryoko. ‘Ma guarda – commenta col fiato sempre più corto nonostante sia fermo da qualche minuto – hanno chiamato il gran capo in persona. Cose grosse davvero allora’. Dietro di lui furgoni della tv, stuoli di fotografi e giornalisti in genere. ‘Sarà meglio – si dice sollevandosi eretto – cercare di concludere qualche cosa’. A poche decine di metri il cordone di miliziani si richiude inghiottendo il commissario. Passa oltre senza farselo dire. Una rapida occhiata ma non si vede niente. Decine di camionette con stuoli di soldati rinchiusi nelle pance sono arrivati in pochi minuti. Gli scudi e gli occhiali a raggi x e a ultravioletti termici si avviano lungo il recinto, su per i palazzi circostanti. ‘Sono troppo lontani questi casermoni – si dice allontanandosi – perché possano essere stati usati come base o via di fuga. I soliti idioti questi poliziotti in serie. Vogliono dimostrare di aver la situazione in mano pur brancolando completamente nel buio. Non impareranno mai’. Lo scenario della tragedia viene cancellato lentamente dalla pioggia alle sue spalle. ‘Maledetto tempo – grugnisce cercando di accendersi una sigaretta – sempre al momento meno opportuno’.