Ridatemi il mio corpo
Capitolo 11
Con passo stanco si inoltra tra i casermoni che lo sormontano. Monumenti dignitosi all’ingegno di un’umanità sempre più persa dentro sé stessa e la vita che essa stessa ha creato. Non ci si viveva male, lo sa benissimo. Ognuno di quelli è un quartiere a sé stante con i propri problemi e metodi per farvi fronte. Con la propria amministrazione e il proprio regolamento di vita. Solo fuori di li le norme cambiano e si diventa come gli altri. Se non si esce il guscio è sicuro e infrangibile. Questa è la difficoltà maggiore per qualcuno. Uno, due, tre portoni gli passano a fianco senza far rumore. Nonostante la mole sono discreti. Forse perché persi in mezzo agli altri. I soldati saliti a fare i controlli vengono ritmicamente vomitati fuori. Addestramento perfetto. Le bocche li restituiscono al mittente. Tranne una. Due caseggiati davanti a lui qualcosa di strano attrae la sua attenzione. Non escono tutti i miliziani come negli altri casi. Sono solamente due i soldati. Entrambe si fermano ai lati dell’ingresso. Il coordinatore dell’azione si avvicina velocemente allo stabile seguito da rinforzi e da diversi agenti della scientifica. Li si riconosce per via delle valigette e dal fatto che sono disarmati. Senza degnare di uno sguardo i due sottoposti imbocca l’ingresso. All’ascensore un altro graduato lo attende. Entrato tutto il drappello le porte si richiudono.
‘Questo è un fatto strano’ dice il detective avvicinandosi al palazzo. ‘Devono aver scoperto qualche cosa di importante’. A questo pensiero se ne accosta subito un altro. ‘Come faccio e sapere anche io cosa hanno trovato?’. Come un turista incuriosito si ferma davanti all’ingresso del palazzo. Porte ermetiche di ultima generazione. Ambiente pulito e asettico. Nessun segno di decadenza. L’esterno è formato da enormi lastre di nanocellule. Un organismo vivo e indistruttibile in pratica, capace di rigenerarsi e riparare eventuali magagne quasi da solo. Hanno scoperto che la nanotecnologia è la formula migliore e più confortevole per vivere, per essere isolato dal resto del mondo. Nessun rumore, nessun disturbo, nessun sussurro, nessuno che cammina al piano di sopra.
I soldati ne ostruiscono subito la visuale intimandogli di allontanarsi. Senza scomporsi Reeds prosegue. Le retine con lo scanner analizzano i passaggi esistenti. Solo dove poggiano gli occhi però. Non aveva i soldi per cose più sofisticate. Tutto bloccato…’Maledetti architetti – pensa sotto la pioggia che si è fatto più fitta – troverò il sistema’. Alle sue spalle attimi di concitazione. Ordini che sovrastano il rumore delle sirene e delle fiamme che non accennano a spegnersi. Due camionette si fanno prepotentemente strada tra i miliziani e la gente che nonostante gli avvisi non si è allontanata. Uno dei due mezzi ha ancora il portellone posteriore aperto mentre scompare verso la periferia. Riesce ad intravedere tra la pioggia la faccia rognosa del tenente Jhonson che ringhia contro l’autista. E’ quello l’attimo. I militi si distraggono. La finestra di una cantina viene aperta da una corrente d’aria. ‘Meno male che ci vivono ancora degli esseri umani qui dentro. Chi altro potrebbe dimenticare di chiudere bene una finestra in cantina tenendo presente che è impossibile che ce ne sia una sola rotta?’. Si avvicina con passo svelto alla fiancata del palazzo. Senza pensare che qualcuno lo possa vedere e prima che il sistema rilevi l’anomalia del perimetro, si tuffa nell’apertura. Atterra pesantemente su scatoloni e vecchi mobili. ‘La classica cantina – pensa rialzandosi – ora c’è un altro problema. Come uscire da qui’. Da anni le serrature e i lucchetti sono stati sostituiti da codici numerici e a rilevazione di impronta. ‘Speriamo di essere fortunati’ pensa prelevando dalla tasca un decodificatore numerico. Lo aggancia alla serratura e chiude gli occhi. Dopo qualche secondo il bip di accesso al sistema gli fa tornare l’aria nei polmoni. ‘No comment’. Esce nel corridoio buio. Immediatamente le fotocellule illuminano l’ambiente con una fievole luce blu che mette in evidenza i numeri bianchi sulle porte in ferro. La direzione è obbligatoria se vuole uscire. Nessun rumore, me è impossibile udirne alcuno. ‘Un vantaggio se non si vuole essere scoperti – pensa camminando verso l’uscita – ma uno svantaggio se non si vuol essere sorpresi’. La porta di uscita dà su un corridoio dietro il portone d’ingresso. Nessuno sosta nell’atrio. Alcuna voce. L’ascensore segna il 15° piano. Senza indugio si dirige alle scale di servizio. Un’occhiata a porta socchiusa come copione impone ed entra sulla rampa. Nessun movimento. Anche qui una luce blu schiarisce a stento i gradini. Dei neon dalla flebilissima luce indicano la strada. Attiva gli innesti nelle gambe e si lascia trasportare come su una scala mobile. Le gambe si muovono ma la cosa non lo riguarda. Pochi istanti, 15 piano segnala la scritta sulla parete.