Ridatemi il mio corpo
Capitolo 18
Il tempo per arrivare alla centrale elettrica, che si staglia contro le nuvole, pare interminabile. Inamod corre, arranca, cade e si rialza senza fermarsi mai. Attorno lontani rumori indistinguibili. “Mi stanno accerchiando” pensa scalando le prime macerie del vecchio edificio.
La struttura ricorda le sembianze di un castello. Mura spesse, torri, finestre strette. Costruita in pietra. È dismessa da diversi decenni ed è stata abbandonata a se stessa. Il tempo e le intemperie hanno fatto il resto. Arrivato sulla vetta di quelli che sono diventati semplici sassi, cerca velocemente una via d’ingresso che non sia ostruita o troppo pericolante.
“E’ messa molto peggio di quello che potessi pensare” riflette guardandosi attorno. Lo sguardo cade su un cancello semi divelto. Gli occhi si sono abituati al buio da un pezzo. “Doveva essere l’entrata dei dipendenti” si dice avvicinandosi all’apertura. Nessuno sforzo per attraversare l’imboccatura. Le sbarre che la controllavano sono sufficientemente aperte per permettere un agevole passaggio.
“Finalmente niente più pioggia” commenta entrando. All’interno solo buio. La notte è raddoppiata di oscurità. Estrae dai pantaloni la torcia usata per piazzare le mine. Il piccolo fascio di luce illumina un ampio atrio. Soffitti alti e due corridoi che si perdono nelle direzioni opposte. La scelta di quale imboccare è facilitata dalle macerie cadute ad est. “Andrò dall’altra parte” sentenzia incamminandosi. Qualche detrito ogni tanto gli ricorda dove si trova. Stanze una volta uffici si aprono a destra e a sinistra. “Devo trovare la camera delle turbine – pensa – Se il fiume passa da lì come penso posso avere una via di fuga. Se trovo da dove entra nella struttura il gioco è fatto”. Si concentra nel tentativo di ricostruire la posizione del rio. Ripensa a quando è stato fermo sulle rocce cercando un’apertura per entrare. “Era alla mia destra” ricorda. “Bene, il che significa che questa è la direzione giusta. Un piccolo colpo di fortuna in questa nottata tutt’altro che tranquilla”. Prosegue per il corridoio che sembra non voler avere fine. Gli abiti inzuppati appesantiscono e rallentano il passo. In lontananza un rumore sordo e continuo. “Lo dicevo io”. Aumenta l’andatura e si dirige verso la fonte del rumore. Si guarda attorno in cerca di una porta o qualcosa che segnali la direzione. Nulla. Solo porte con vetri rotti o stipiti inesistenti. Inizia a correre. “Voglio uscire al più presto”. L’infinito corridoio trova il suo limite. Un’entrata serrata da un pesante battente. “Il rumore pare essere più forte qui dietro”.