Cantante, compositrice, arrangiatrice, autrice, donna siciliana. Questo e molto altro è l’eclettica Daniela Spalletta, autrice di Per aspera ad astra, disco decisamente ‘trasversale’ su tappeto jazz. Molteplici e variegate le sue influenze, molte della quali non mancano di saltare all’orecchio e, soprattutto, di stupire. Vanta collaborazioni con importanti musicisti del panorama jazzistico italiano e internazionale (fra cui Urban Fabula, Seamus Blake, Giovanni Mazzarino, Gegè Telesforo, Enrico Intra, Fabrizio Bosso, Max Ionata). Ma nonostante tutto resta una persona umile e disponibile. In questa intervista a Tempi-Dispari, Spalletta si racconta e racconta la sua ultima fatica discografica
- Innanzitutto una presentazione per chi non ti dovesse conoscere
Grazie per questo spazio! Sono una cantante, compositrice, arrangiatrice e autrice siciliana.
- Parliamo del tuo nuovo disco: al suo interno ci sono moltissime influenze, espressione della tua cultura musicale e non solo. Quanto c’è di siciliano tra i solchi del disco?
Direi molto. L’essere siciliana è una condizione che contraddistingue in maniera preminente il mio essere persona e musicista.
- Quanto ha influenzato scrittura dei brani l’essere nata e cresciuta in una terra come la Sicilia?
Essere musicista nel nostro tempo, ipertecnologico e iperconnesso, ha certamente dei vantaggi. Uno fra questi è, indubbiamente, la possibilità di avere accesso con facilità a musiche e realtà fra le più diverse e variopinte, e in effetti nel disco sono presenti molti riferimenti stilistici. Tuttavia, lo ribadisco, la condizione della sicilianità, che non ho del tutto scelto, ma che, al contrario, mi ha determinato e mi determina, definisce sfumature e declina tutto quello che ho abbracciato e amato, nei miei ascolti e nella vita, sotto una particolare luce, che poi è diventata mia.
- Dal tuo punto di vista, se fossi nata da un’altra parte il sound sarebbe stato diverso?
E’ intensa questa domanda e contiene una serie di rimandi misteriosi, a cui sono da sempre molto attenta… non posso dirlo con certezza, ma diciamo di sì, tutto sarebbe stato diverso se fossi nata altrove.
- Uno dei brani che più colpisce è Samsara, un bellissimo elogio alla musica, alla musicalità. Come è nata come canzone e da dove è venuta la melodia vocale?
Samsara è uno dei brani che ha richiesto più tempo nella composizione e nell’arrangiamento, in particolare per le sue caratteristiche formali, che rimandano principalmente al rock-progressive e alla musica classica. Ho combinato diversi elementi: la melodia, assegnata a voce e chitarra, è complessa e tortuosa, la sua struttura ritmica, basata sulle terzine, è un rimando extramusicale al Samsara, la dottrina inerente al ciclo di vita, morte e rinascita nelle religioni dell’India; anche l’ostinato armonico iniziale, in cui si ripete la figurazione ternaria, è un riferimento simile. Da un punto di vista formale, il brano si trasforma più volte nel corso del suo svolgimento, in pieno stile progressive, per poi ritornare alla costruzione d’impianto, con la riproposizione motivica iniziale nel finale.
- E’ innegabile la tua superlativa tecnica, ma non è uno sfarzo di virtuosismi. Quando canti e quando componi, pensi ‘tecnico’ o emotivo?
La padronanza tecnica è una virtù fondamentale, figlia del duro lavoro e della ricerca, senza la quale è impossibile, secondo me, esprimere la musica che si ha nel cuore. In quest’ottica, la tecnica è un’alleata preziosa, uno strumento essenziale per esprimere l’emozione. Equilibrare e vegliare su questa capacità, facendo in modo che non degradi nel manierismo, il peggior nemico dell’espressione artistica, è una ricerca che porta frutti sempre più dolci, mano a mano che si diventa più maturi.
- Jazz e rock tante volte sono messi in competizione come generi musicali. I proseliti dell’uno accusano gli artisti della corrente avversa di essere troppo grezzi, distorti, poco preparati. Gli altri riversano sulla controparte la definizione denigratoria di intellettualoidi, spocchiosi e altre amenità. Tu nel tuo disco passi sopra ai limiti di genere per andare a prendere l’essenza della musica che è emozione. Scelta deliberata o spontaneo moto espressivo e quanto conta emozionarsi ascoltando la musica di altri, siano essi band storiche o emergenti, al di là del tuo ruolo?
Il Rock e il Jazz sono i due universi attraverso i quali ho compreso molte cose di me stessa e ho riconosciuto il mio essere musicista. Il Rock, in particolare il Progressive, fa letteralmente parte del mio background di ricordi, emozioni e affetti legati alla mia infanzia; il Jazz è una magia sorprendente, è il Virgilio attraverso il quale ho imparato a “mangiare” molte musiche del mondo, integrandole con la mia sensibilità e le mie esigenze. L’emozione, in tutto ciò, è cruciale: non può esistere espressione artistica senza emozione e l’emozione ha una sua propria memoria, che rimane, ritorna e ci salva. Grazie alla memoria dell’ emozione ci innamoriamo per sempre delle cose.
- Cosa ascolti quando non sei impegnata con il tuo lavoro?
A parte la musica pericolosamente commerciale, cioè quella pensata a tavolino per imbruttire le orecchie, la mente e il cuore delle persone, ascolto davvero tutto.
- Ultimo disco acquistato?
“From this place” di Pat Metheny.
- Un punto di forza che ha il rock rispetto al jazz e viceversa
Sai, non riesco a rispondere esattamente in questi termini a questa bellissima domanda. In realtà, sono profondamente convinta che il Rock e il Jazz si assomiglino più di quanto si possa pensare, specie nel tratto di una virtù, tanto rara, quanto preziosa: il coraggio.
- Quanto conta la preparazione extra musicale, culturale, nella composizione?
Penso che conti moltissimo e che, specie nei confronti delle nuovissime generazioni, ancora più fragili, per certi versi, di noi definiti “millennials”, debba essere nostra cura difendere l’approccio “antico” alla cultura e al suo ritmo, lento e riflessivo.
- Dal tuo punto di vista, limiti e prospettive dei cantanti contemporanei
Dal mio punto di vista, trovo che il limite peggiore nel canto, e in generale nell’arte, sia la tendenza all’omologazione, sia che essa scaturisca da una debole consapevolezza espressiva o, ancora peggio, da cliché legati a un più immediato consenso o facile profitto. Al contrario, la prospettiva del canto contemporaneo è la fame di curiosità e il suo appagamento, reso possibile dall’infinità di riferimenti artistici a cui oggi facilmente possiamo accedere.
- Una domanda che non ti hanno mai posto ma che ti sarebbe sempre piaciuto di facessero?
Qual è il tuo film preferito? (La risposta in realtà non c’è! Forse “Nuovo Cinema Paradiso”…)
- Se fossi tu ad intervistare chi intervisteresti e cosa gli chiederesti?
Qual è il tuo film preferito?
- Un saluto a chi legge
Ciao a tutti e grazie di cuore per avermi dedicato il vostro tempo prezioso!