Ridatemi il mio corpo
Capitolo 24
“Non puoi scappare” prosegue la voce dal buio. “Piccolo uomo. Lo so perché sei scappato da me. Lo so che sei uno di loro”.
Inamod riconosce la voce della donna che ha incontrato. “Ma tu sei la donna che mi ha fatto perdere tempo. Che cosa vuoi? Uno di loro?” risponde nascondendosi meglio. Il tono della donna è sensibilmente alterato e questo lo fa essere accorto.
“Non negare – ribatte lei avanzando lentamente sulla passerella – ormai ho capito tutto. Sei uno dei trapiantati. Sei uno di quelli che mi ha rubato il corpo”. Urla. “Per questo sei scappato. Mi hai riconosciuta. Hai capito chi fossi e hai avuto paura perché sapevi cosa volevo”. Si ferma. “Non so di cosa stai parlando – di rimando al vaneggiamento della giovane – non sono un trapiantato”.
“Smettila – prosegue lei esplodendo un colpo di pistola – Rivoglio il mio corpo. Ogni suo pezzo. Mi hanno tolto tutto e distribuito ai riceventi. Ma io lo so, ho capito. E sono in grado di riconoscere le mie parti. Mi basta un dettaglio, un particolare. Anche solo il tono di una voce. Mi sono quasi ricostruita tutta. Mi hanno strappato anche il bambino che portavo in grembo. Ritroverò anche lui. Intanto rivoglio il mio cuore. Ce l’hai tu, ne sono sicura. Non è stato un caso che ci siamo incontrati. Non è un caso che tu sia un ribelle esattamente come me. Tutto torna. Quello che ho nel petto è solo un surrogato. Un accessorio che mi tiene in vita ma non mi appartiene”. Spara ancora avanzando. Inamod sente i passi che si approssimano. Risponde al fuoco. Alla cieca. Non vede nulla. Solo una voce. La donna ha le retine che le consentono di vedere dove lui è nascosto. Non lo scorge ancora. Il cuore le batte forte. Non ascolta le risposte. Non sente nulla. Ha solo un mente la sua missione.
All’esplodere dei colpi vede il braccio di Inamod fare capolino dalla curva poco distante.
“Sei pazza donna – risponde lui sparando – io non ho subito nessun trapianto. Quello che ho è tutto originale. Sei tu allora che hai ucciso tutte quelle persone esportandogli organi e arti. Sei completamente uscita di senno”. I proiettili lambiscono la figura che non vede. Risponde con al contrattacco con rabbia, con odio.
“Non è vero – strilla tanto da coprire il rumore del fiume che scorre poco sotto – non è vero. Tu menti. Restituiscimi ciò che è mio”. I proiettili fendono l’aria.
“Accidenti a lei” pensa Inamod controllando il caricatore. “Ho quasi finito i colpi. Devo stare attento”. La raffica proveniente dal ponte si ferma. Si sentono i colpi a vuoto del cane contro il tamburo.
“E’ il momento – si dice il giovane – ora o mai più”.
Si alza. Esce allo scoperto e spara ancora alla cieca davanti a sé. Scarica la sua arma sul nulla. Non sa che la donna è accovacciata.
“Finalmente sei uscito” ringhia rialzandosi. Si getta contro Inamod con un balzo improvviso e lunghissimo grazie ai potenziamenti. Preso di sorpresa Inamod cade con due mani attorno al collo. Risponde con un pugno in pieno volto che fa allentare la presa all’assalitrice ma non riesce a farla staccare.
“Smettila – le urla – io non ho nulla di tuo” le dice osservando la sagome che piano piano si sta formando davanti a lui.
“Anche se mi uccidessi non otterresti quello che vuoi perché io non ce l’ho”. Un altro colpo. Una ginocchiata ben assestata allo stomaco dell’assalitrice gli offre uno spiraglio per la fuga. Rotola lateralmente sganciandosi dalla donna e fugge carponi. Dalle aperture in cui defluisce l’acqua, un bagliore di luce. Vede bene la donna ora. La vede mentre gli si scaraventa di nuovo addosso.
Ryoko e gli agenti non intervengono. Tengono sotto tiro la killer.
“Questa è completamente pazza” pensa il comandante ascoltando i deliri della donna.
Nel frattempo i due continuano ad azzuffarsi. Sebbene ferita la killer non si ferma, non pare sentire dolore. Le forze non le mancano. Inamod la colpisce ripetutamente, ma non crolla.
Solo quando estrae il rasoio Ryoko decide di intervenire.
“Fermi – urla – polizia”. Il richiamo non ha effetto.
“Non sentono” commenta.
Un colpo in aria fa fermare i combattenti. “Polizia – ripete il comandante – fermi dove siete. Siete in arresto”. Gli uomini scendono i gradini di corsa.
“No – urla la donna – non potete farlo. Non potete fermarmi. Vi prego. Non sono io questa. Dovete capire. Voi dovete capire. Questo corpo non mi appartiene. Mi hanno rubato tutto, mi hanno smembrata e rimessa assieme con pezzi non miei”. Così dicendo rivolge il rasoio contro sé stessa. Taglia di netto un braccio sotto l’ascella. L’osso tiene unito l’arto penzolante al resto del corpo. “Vedete – urla disperatamente senza fermare quella follia – non è roba mia. Sarei pazza se mi staccassi pezzi miei. Ma non sono miei”. Così dicendo immerge la lama nella coscia destra aprendola in due. Il sangue e un urlo di dolore che scorre per terra.
Gli agenti restano allibiti e velocizzano la discesa per cercare di fermarla. Inamod non si muove, pietrificato dalla follia della donna. Una forza interiore dice che dovrebbe provare ad intervenire. Il pensiero non si formula del tutto nella sua testa. Uno schizzo di sangue lo ricopre. La donna si è incisa il ventre. Estrae le viscere. Va in ginocchio. L’intestino tra le mani. Lacrime miste a sangue le rigano il viso. “Visto? – Sussurra appena – visto che non sono io? Non mi fa neppure male”. Il rasoio la sta facendo a brandelli. In pochi secondi cade esanime. Il sangue sgocciola tra le feritoie perdendosi nel fiume che lo porta via. Inamod cade in ginocchio vinto dai conati di vomito. Quando gli agenti lo raggiungono non ha neppure la forza di reagire. Vomita. Le mani dietro la schiena e la manette che gli stringono i polsi.
Ryoko, tra i primi ad arrivare, lo supera e si avvicina al cadavere. “Ora credo sia davvero tutto finito – dice – ed è tutto chiaro. Povera pazza. Chi sa come le è venuta questa idea”. Reinfodera la pistola e si rivolge al prigioniero ancora sotto shock. “Sei in arresto bello mio – gli dice – non credo farai altri danni alla città per molto tempo”. Così dicendo fa cenno di portarlo via.
La luce dell’alba rischiara l’interno della grotta. I riflessi si perdono sugli organi della killer. “E se avesse avuto ragione – si chiede Ryoko – e se tutti noi non fossimo del tutto ‘originali’ a nostra insaputa, ma un mix di pezzo altrui? E se lo fosse anche la nostra mente?” pensa aspettando il medico legale per poter rimuovere quei brandelli di essere umano.
Viene richiamato al presente da un agente che conduce un uomo in manette. Il capitano lo riconosce subito dall’andatura. “Te lo avevo detto che ti avrei fatto arrestare Reevs”.
“E io – ribatte Reevs – che credevo vi avrei battuto sul tempo. Se non fosse stato per il fango ci sarei riuscito”. Procedendo verso il capitano vede il corpo martoriato sul ponte. “Cristo santo – esplode il detective senza badare alle parole di Ryoko – non vi pare di avere esagerato? Ma chi è? È una donna? Santa miseria. Una donna ha creato tutto questo sconquasso? Perché?”.
“Si detective – ribatte Ryoko – è una donna. Ora credo che non ci saranno più omicidi del genere in città. A meno di emuli o di altra gente che impazzisce. Quanto a te, passerai un po’ di tempo come nostro ospite. Non si intralciano le indagini”.
“Dai capitano – ribatte Reevs – non vi ho intralciato. E poi sto indagando su un altro cosa. Questo è stato un incidente di percorso. Non mi dica che al mio posto non ci avrebbe provato anche lei a beccare il killer? A proposito delle mie indagini. Per caso il tizio che avete arrestato, mica si chiama Philip”.