È innegabile, la musica italiana ‘migliore’ si trova nell’underground. Lontano da riflettori e business. Conferma ne sono i Giuditta, band di Brescia al loro debutto discografico. Stilisticamente non sono immediatamente definibili. Indie, punk, post punk, alternative. Scegliete voi. Fatto sta che questo omonimo ep di esordio è un gran lavoro.
Ottimamente suonato con basi strumentali in perfetta linea con i testi, in italiano. Nessun virtuosismo appariscente. Ce ne sono ma sono da scoprire, soprattutto a livello ritmico. Chitarre caustiche che alternano wall of sound nella migliore tradizione stoner ad ‘aperture’ melodiche. Virgolette d’obbligo perché il disco è tutto fuorché solare. È piuttosto cupo, dark se vogliamo.
Testi a cura della cantante Francesca Cordone. E proprio lei merita una particolare menzione. Il suo utilizzo della voce è perfetto per il genere, per la resa dei testi. Cosa assolutamente non scontata, anzi. Le parole sono da ascoltare dalla prima all’utima per ben entrare nel mood di ogni brano. Riferimento stilistico, almeno di primo acchito, è Patty Smith.
Le analogie, non il plagio, con la poetessa del rock sono diverse. Dalle cadenze ai testi. Dalle variazioni di intensità alle parti più morbide.
Riassumendo, grande debutto per i Giuditta.
Davvero un ottimo lavoro. Originale, per quanto possibile, rumoroso, umorale, intenso, melodico quanto basta. Gli eredi diretti di tutte quelle band che hanno iniziato come alternative e si sono perse per strada abbagliate dalla luce del successo. Ma molto più pesanti e scuri.
Un disco consigliato a chi cerca nuove sensazioni e non è mai stanco di sperimentare nuove sonorità.