Con un disco in arrivo il 15 gennaio (recensione), Walter Di Bello racconta della sua voglia di comunicare, della sua naturale propensione al cantato in inglese, della sua visione di ciò che è la musica. Ma non solo. Il cantautore della ‘non scelta’ di un genere predeterminato e molto altro ancora. Un’intervista tutta da leggere.
Una presentazione per chi non ti conosce
Ciao, a tutti! Sono Walter di Bello, un cantautore e compositore che ama la musica e che non smette mai di sognare.
Entriamo nel merito del tuo ultimo lavoro, come mai il cantato in inglese?
Non che non abbia mai scritto e inciso in italiano, ma sempre per progetti paralleli a quello da solista.
Ho una tendenza naturale verso l’inglese, sia per le origini di parte della mia famiglia, sia per l’ascolto di determinati generi musicali diventati popolari all’estero.
Non è il primo e non sarà l’ultimo album che scriverò in inglese, anche se il prossimo che uscirà sarà in lingua madre.
Ho fame di comunicare le mie idee e i miei pensieri e, attraverso l’inglese, mi sembra di riuscire a farlo con molte più persone, di parlare un po’ con tutto il mondo.
Il tuo è un disco molto intimo, da dove nascono i testi?
Si! Non posso negarlo: per me la scrittura e, in generale, la musica, è un piccolo diario dove racconto le mie sensazioni, le mie emozioni.
Io dico sempre che non siamo noi a concepire le canzoni: loro sono già lì, da qualche parte e, nel momento giusto, vengono giù dallo stomaco al cuore fino ad invadere la mente.
A volte come immagini, a volte vere e proprie melodie già composte, e poi viene tutto da sé.
Il non aver scelto un genere di riferimento preciso, una scelta o è stato ‘casuale’, ossia in relazione ai testi?
No, non è assolutamente una scelta: nella fase di composizione e di arrangiamento ti rendi conto semplicemente che ogni pezzo ha bisogno della sua forma di espressione personale, quindi catalogarlo e rinchiuderlo in delle sfumature sonore obbligate ucciderebbe la sua vera natura.
Vedo la musica come un’esperienza prettamente personale: ognuno di noi racconta se stesso attraverso la propria arte.
Non abbiamo un vero e proprio ruolo: possiamo lasciare messaggi positivi o semplicemente condividere le stesse emozioni con persone che nemmeno conosciamo, rivedersi nelle stesse parole, nelle stesse note.
La musica, quella bella e che non segue le mode, non ha età: basta guardarsi alle spalle per rendersene conto.
Ti senti in qualche modo un rappresentante dei giovani di oggi o è un mondo dal quale ti senti distante?
Così come per tutte le epoche, ci sono cose e ideali che condivido e altre che vorrei finissero. Ma l’essere umano è qui per sbagliare, cambiare, migliorarsi e poi risbagliare: è il nostro ciclo.
Il tuo lavoro ha un messaggio o è pura espressione di te stesso?
Il mio lavoro ha un forte messaggio.
Io sono una persona che ha una forte propensione verso la vita spirituale dell’individuo e, nella mia musica e nei miei testi, ci sono delle vere e proprie spinte verso quella direzione.
Sono metafore, sono suoni che hanno lo scopo di portare l’ascoltatore a un senso di tranquillità e pace: a volte è tutto più semplice di quello che sembra.
Qual è la colonna sonora preferita per le tue giornate?
Sono un amante della musica acustica, il folk è l’espressione più vicina alla mia anima.
Quindi, si! Bastano sei corde e una voce per accompagnare la mia giornata perfettamente.
La sensibilità delle nuove generazioni è spesso sottovalutata. Dal tuo punto di vista, dovrebbero osare di più i giovani artisti odierni?
Si! Purtroppo la musica, come tutto, è entrata in un meccanismo dove l’essere popolari e guadagnare tanto è diventata la prima spinta.
L’arte è finita un po’ in secondo piano: si cerca di piacere sempre di più agli altri e questo bisogno sta soffocando la libertà di espressione.
Che cosa manca alla musica contemporanea?
Non manca nulla! C’è tanta bella musica lontana dal mainstream. Mancano solo radio e giornali che possano condividerla senza compromessi: manca l’equità!
Vivi di musica? Se no, ti piacerebbe ed è fattibile in Italia?
Si! Ho la fortuna di vivere di musica: dedico la mia vita a portare la mia musica in giro e, in parte, ad insegnare a chi vuole imparare a farlo.
Una domanda che non ti hanno mai posto ma ti piacerebbe ti fosse rivolta
Non saprei dirti. Forse “Ti senti veramente libero?”.
Se fossi tu ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervisteresti e cosa gli chiederesti?
Una bella chiacchierata con Albert Einstein non mi dispiacerebbe!
Un saluto e una raccomandazione a chi ti legge
Un abbraccio dal Cilento! Non limitatevi mai, siate sempre voi stessi!