Con l’album di esordio Musica invisibile (recensione), l’Andrea Ruggeri Ensamble, si impone all’attenzione di critica e pubblico. E si, perché il disco in questione non è un disco comune. L’ensamble, sono in 13, pongono sul piatto un progetto ambizioso, stimolante, diverso. Come stimolanti sono le risposte a questa intervista rilasciata da Andrea Ruggeri. Punti di vista che si distanziano dal comune sentire e cambiano la prospettiva generale. Una su tutte: ‘Troppo spesso manca l’umiltà dei musicisti di sforzarsi di capire il pubblico, di accompagnare chi ascolta a scoprire ciò che non conosce’. Un’intervista tutta da leggere.
Una presentazione per chi non vi conosce
Ciao, siamo l’ARE Andrea Ruggeri Ensemble, fondato dal batterista, compositore e arrangiatore sardo e veneto d’adozione Andrea Ruggeri. Siamo sparsi per tutta l’Italia, dalla Calabria alla Val D’Aosta, passando per Istanbul. Il 2 dicembre 2022 è uscito il CD Musiche Invisibili, lavoro dedicato alle Città invisibili di Italo Calvino.
Come è nata l’idea?
Quando ho (Andrea Ruggeri) iniziato a leggere Le città invisibili e ne ho notato la struttura “musicale”, ho sentito l’urgenza di mettere in musica le suggestioni suscitate dalla lettura.
La parte più difficile
La scelta delle città da tradurre in musica.
In fase compositiva come ci si è comportati? Parti già scritte o ognuno ha messo del proprio?
Parti già scritte, con un importante apporto collettivo per alcuni arrangiamenti.
Lavorare con 13 teste non è facile, come siete riusciti a trovarvi? Soprattutto, come avete trovato 13 persone che condividessero un’idea così onirica?
Dopo un inizio un po’ critico e qualche cambiamento nell’organico, il trovarsi in 13 teste diverse è stato felicemente semplice. Abbiamo discusso più volte ma sempre in modo costruttivo, anche sugli aspetti che in certi momenti necessitavano di un miglioramento. La condivisione è diventata una vera e propria adesione al progetto da parte di tutti, dovuta probabilmente a percorsi e ricerche musicali in comune.
Avete un audience di riferimento?
Chiunque decida di ascoltarci fa parte del nostro audience di riferimento. Parlerei più di luoghi di riferimento, dove la musica che suoniamo si possa ascoltare in ogni minima sfumatura. Sarebbe complicato suonare al Concerto del Primo Maggio, non tanto per il pubblico quanto per la gestione tecnica da parte dei fonici di un ensemble che suona a dinamiche molto varie, dal pianissimo al fortissimo: in quei contesti è spesso complicato farlo.
Cosa pensi possano ‘sentire’ le persone ascoltando il disco?
Non saprei. Probabilmente ognuno riceve delle suggestioni che originano dal proprio vissuto, dalla propria sensibilità. Io personalmente spero sempre che la musica che produco possa stimolare emozioni e riflessioni che arricchiscano in qualche modo chi la ascolta.
Per la musica in Italia è difficile farsi ascoltare. Per un genere come il vostro può essere ancora più complesso, ci sono spazi?
Se, per mera comodità, ci riferiamo al circuito della musica jazz, in Italia si svolgono ogni anno più di quattrocento festival dedicati a questa musica. Inoltre, dal 2022, grazie a dei nuovi finanziamenti pubblici, sono nati cinque centri di produzione che hanno già organizzato centinaia di eventi in tutta Italia. Gli spazi non mancano. Poi, grazie ai social oggi è molto più facile farsi sentire… imparando a conoscere il funzionamento degli algoritmi! È fondamentale credere nelle proprie idee senza farsi abbattere dalle difficoltà o dalle porte chiuse che per diversi motivi e su vari fronti inevitabilmente si incontrano. Le porte ad un certo punto si aprono, e magari si possono anche costruire di proprio pugno.
Cosa manca all’ascoltatore italiano?
Niente. Troppo spesso manca l’umiltà dei musicisti di sforzarsi di capire il pubblico, di accompagnare chi ascolta a scoprire ciò che non conosce. Troppo spesso sento dire da colleghi “eh, tanto il pubblico non capisce”, invece, semplicemente, non conosce, appunto. Poi, esistono i gusti personali ma “chi se ne frega” se la mia musica piace a Tizio e non a Caio. A me interessa ciò che la musica può generare nel cuore di chi ascolta, attraverso il suono, attraverso una performance onesta e generosa. Tutto ciò trascende i gusti personali e crea connessioni tra le persone.
La musica è solo un ‘passatempo’ o ha uno scopo più profondo?
Un passatempo non è superficiale. Tante persone fanno musica per passatempo ma la gioia e la soddisfazione che provano grazie agli sforzi sinceri che compiono, anche se a livelli diversi, sono le stesse che provano i professionisti. La musica, se fatta con onestà e non per nutrire esclusivamente il proprio ego, è sempre un veicolo per uno scopo profondo: star bene con se stessi e con gli altri.
Spesse volte si fa riferimento a musica colta e non. Esiste davvero questa disparità o la musica è musica e l’importante è esprimersi?
Le etichette, i generi, esistono come esistono i diversi caratteri e le diverse personalità degli esseri umani. Una persona può piacermi o no ma prima di tutto è degna di rispetto in quanto essere umano che ha diritto ad esprimersi per ciò che è. Nella musica è la stessa cosa.
Vivi di musica? Se no, ti piacerebbe ed è fattibile in Italia?
Sì, vivo di musica. Che sia fattibile o no, in Italia e ovunque, dipende dal crederci o no e dall’essere disposti o no ad affrontare le difficoltà di cui ho parlato prima. Anche la fortuna è fondamentale, sono convinto che la si possa attirare grazie alla perseveranza e ad un atteggiamento ottimistico verso la vita e mai sprezzante verso gli altri.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta
Che rapporto avete con l’errore?
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Hey voi, proto musicisti, confermate tutte le teorie dei musicologi sull’origine della musica?
Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge
Grazie infinite a chi ha letto fin qua. Vi invitiamo ad ascoltare Musiche Invisibili, vi salutiamo e vi raccomadiamo di star bene, anche grazie alla musica.
Concordo
Suguri