Come si può riassumere una tradizione che perde le proprie origini nella notte dei tempi, con la sensibilità Contemporanea? Come si possono raccontare, far visualizzare le onde, le genti, i personaggi che hanno animato e animano il Mediterraneo, attraverso le note? Fabrizio Piepoli, con il suo Maresia, ci è riuscito. Le 10 tracce presenti sono esattamente questo, una narrazione in musica della tradizione musicale mediterranea. Ma non in senso ampio, generico, tanto per dire.
Al contrario. In senso stretto, strettissimo, letterale. Ne sono prova la fusione degli stili, degli strumenti, delle tecniche canore. Un esempio strumentale sono chitarra battente, oud, saz, chitarra classica, basso, shruti box, dayereh, daff, sajat e moorchang.
L’incontro fra tarantella pugliese e il tarab della melodia araba, dall’altra, tarantella garganica e fado portoghese dall’altra ancora, con la chiusura della tradizione arbëreshë che si unisce ai canti di migrazione. Tutto a formare un mix suggestivo, dal sapore conosciuto eppure esotico, conosciuto e dalle mille e una notte.
Il nostro non si risparmia con un’interpretazione intensa, di volta volta adeguata al contesto con suoni cristallini ma caldi. All’interno del disco si possono ritrovare richiami agli Almamegretta, sarebbe meglio dire al cantato di Rais, così come dei Sud sound system, di Kahaled alla musica tradizionale mediorientale.
Un prodotto davvero interessante, eterogeneo, di world musica, se si volesse proprio utilizzare questo termine, che attraversa spazio e tempo eper donare un’effettiva esperienza di viaggio. Un disco pieno di luce, di luce, che sa di deserto e tuareg, di trulli e sagre estive. Un disco del sud del mondo.
In conclusione:
un cd da ascoltare, a ripetizione, non foss’altro che sono talmente tanti gli strumenti, le tecniche, le melodie, che non sono coglibili con un solo ascolto. Se da una parte potrebbe essere un disco easy listening, dall’altra, invece, risulta non facile a causa della sua diversità, del crossover che sfocia nella vera sperimentazione (si veda Occhi di monachella).
Senza dimenticare l’utilizzo del dialetto come lingua del cantato. Per questo come per altri dischi, le barriere devono obbligatoriamente cadere. Avvicinarsi con il preconcetto del genere di appartenenza toglie la possibilità di poter usufruire di una composizione che allarga gli orizzonti, che offre la possibilità di poter capire come genere apparentemente distanti possono stare magnificamente assieme e dare frutti notevoli.