I figli più che legittimi dei Voivod. Questo sono i Maiali, metal combo capitolino. E il loro nuovo Cenere ne è l’ennesima dimostrazione. Se la band canadese avesse proseguito sulla falsa riga dei primi tre dischi, probabilmente, oggi suonerebbe come il gruppo italiano. Ci sono tutti gli ingredienti che hanno caratterizzato il trittico di partenza dei Voivod, attualizzati. Quindi, voce growl, non particolarmente bassa, più hardcore che growl in senso stretto, suoni pesanti, tecnologia, ritmi percussivi.
Soprattutto, le dissonanze, vero segno caratterizzante della band canadese. Per i Maiali, non sono predominanti le sfuriate thrash, cosa che aiuta il disco ad essere più pesante, oscuro. Il cantato in italiano agevola nel calarsi immediatamente nell’atmosfera dei testi, per la maggior parte centrati sull’analisi dell’essere umano, delle sue debolezze, sulla società che ha creato di cui è oggi diventato schiavo. A livello di produzione, ineccepibile. Suoni pastosi ma non confusi, un wall of sound che in sede live non mancherà certo di fare sentire il proprio impatto. Plauso a tutti i musicisti, ma in particolare alla voce. Nel suo urlo di disperazione riesce ad essere espressiva e a conferire ai brani una ulteriore profondità.
Voivod style, quindi, ma non solo. È presente anche una forte componente sludge al confine con il doom. Atmosfere cupe, mancanza di prese d’aria, di cedimenti o semplicemente di aperture che siano anche solo lontanamente melodiche. Un disco per chi apprezza già determinati suoni, atmosfere claustrofobiche. Azzardando un accostamento pittorico il disco potrebbe essere messo come sottofondo ad una mostra di Hieronymus Bosch.
In particolare, il suo celebre Inferno o anche il trittico Il giardino delle delizie. Già a livello macroscopico i dipinti trasmettono angoscia. Più ci si avvicina, più si scopre che ci sono miriadi di dettagli da decifrare che formano altre storie, altre figure, sempre più raccapriccianti. Allo stesso modo potrebbero richiamare alcuni aspetti del futurismo del primo ventennio del ‘900. Cenere è così. Ad un primo ascolto spiazza, mette a disagio quasi. E più lo si ascolta più questa sensazione si acuisce perché si riescono a percepire dettagli inizialmente sfuggiti. Ed è così ad ogni ascolto. Più di scende, più emergono cavilli ritmici, sfumature armoniche, richiami stilistici ‘fastidiosi’. È una discesa in un inferno tecnologico ogni passo più cupa, senza via di scampo.
In conclusione:
per i Maiali, un disco davvero imponente, sia per struttura, non lineare, sia per tematiche. Realizzato egregiamente, con suoni contemporanei, che esprimono l’angoscia dell’uomo moderno verso un presente incerto ed un futuro imperscrutabile e, forse per questo, inquietante.
Un lavoro non adatto a tutte le orecchie. Anzi. Un disco per ascoltatori ben selezionati. Si deve avere una certa predisposizione per suoni pesanti, dissonanti, strutture articolate, ambienti chiusi. D’altra parte di deve anche essere sufficientemente aperti alla scoperta di nuovi mondi, per quanto angoscianti possano essere.
Consigliato a chi è alla ricerca di novità, di viaggi musicali tormentati, inquieti, ma che alla fine lasciano la soddisfazione di una meravigliosa esperienza.