Esistono dei gruppi caustici, abrasivi, sia per testi che per musica. Capaci di strappare da dosso all’ascoltatore quella patina protettiva verso le brutture della vita catapultandolo al centro delle stesse. Tra queste si possono senza ombra di dubbio annoverare i Minimo vitale, di Aosta. Tolto l’inequivocabile debito verso i Massimo Volume, i nostri si lanciano in un rock duro, acido, che prende a piene mani ispirazione dal garage indipendente degli anni ’90 e dal grunge più cattivo. I nostri sono un vero e proprio rullo compressore. I brani si susseguono come punture di vespe.
Fanno male, sono fastidiose. Di buono c’è che ‘infettano’. Ossia i pensieri espressi si insinuano nella mente di chi ascolta per non lasciarla più. E minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, quel pensiero infetta anche gli altri facendo vedere sotto una luce differente ciò che è e ciò che è stato. Un obiettivo non da poco per un disco. Musicalmente, come anticipato, i Minimo vitale si rifanno alla tradizione itliana dei Massimo Volume, da cui prendono solo spunto, per poi immergerla in tonnellate di rock elettrico essenziale. Nessun riffing ricercato, nessuna pretesa dimostrativa.
Solo rabbia, nostalgia e frustrazione. I suoni affondano i piedi anche in quello che la psichedelia anni ’60/’70 ha portato. Refrain iteranti, ripetuti ossessivamente ad indebolire la mente dei malcapitati. Un’operazione che in verità dura per l’intera durata del disco. Non c’è tregua. Non c’è una presa d’aria. Si sale e scende su delle montagne russe umorali altissime. E proprio quando si inizia a pensare che il giro sia quasi finito o almeno sta arrivando un tratto lento, ecco che tutto ricomincia.
Più veloce, in spirali sempre più strette. Se il suono si alleggerisce per intensità, si appesantisce come atmosfera. La voce segue il medesimo destino. Non lascia scampo. La produzione è assolutamente azzeccata. Abbastanza sporca da non far venire meno l’amalgama del gruppo ma abbastanza pulita da lasciare tutti gli strumenti sempre intellegibili, anche nei momenti più caotici.
I testi narrano di vicende contemporanee come esperienze personali. Sullo sfondo sempre un solo ed unico soggetto, l’umanità. La vita di oggi, presa ed analizzata senza remore, senza difese, senza scuse.
Concludendo. Minimovitale dei Minimo vitale è un disco da ascoltare, per tutti. Per diversi motivi. Il primo dei quali è capire se si è o meno in grado di reggerne il peso. Non basta essere abituati a soni duri o al ‘cantato’ urlato. No, deve esserci una predisposizione verso un certo tipo di sonorità ben precise. Non è neppure un disco che può essere ascoltato come sottofondo senza che gli presti attenzione.
È un’ottima colonna sonora per un pub in una calda notte estiva mentre il personale, rigorosamente tatuato, a metà strada tra il personaggio di Tank Girl e Ran Xerox, sigaretta penzolante in un lato della bocca, porta in giro boccali stracolmi di birra fredda. Ecco, se siete clienti di quel pub, questo è il vostro disco. Se no, prima di entrare vi conviene studiare la situazione.