Un ottimo disco di goth rock quello della one man band Drop on Glass. Atmosfere scure, basso incalzante, chitarre presenti ma non invasive, voce evocativa. Gli ingredienti ci sono tutti e ben utilizzati. Il disco, il debutto del nostro Drop on Glass dopo svariati anni di esperienza in diverse band italiane, Black Therapy, Invernoir, e collaborazioni di diverso genere, session-man per Shores of Null, ottimamente prende la lezione dark inizio anni ’90 facendola propria. Il risultato è un sound caratteristico, riconoscibile anche se immediatamente ascrivibile.
Le immagini che i brani dipingono sono sempre su sfumature di grigio, quasi mai aperte o solari. Si tratta di di tappeti sonori creati da lunghi accordi di tastiera, chitarre dai suoni dilatati, mai aggressive. Decise in diversi passaggio ma mai metal nel senso stretto del termine. Per fare una citazione indicativa le atmosfere, eccezione fatta per la voce, sono quelle di Nick Cave con i Siouxies. Tuttavia le influenze sono davvero molteplici. Si parte dal rock, come detto, dal dark/gothic per arrivare alla psichedelia dei Pink Floyd fino all’aor.
È innegabile il richiamo in Like You alla band di Gilmoure in Like you grazie all’utilizzo della voce solista femminile. I passi sono quelli di A great gig in the sky, per chiarire. E non ci ferma ancora. Fanno capolino anche i Cult, più per atmosfere, melodia del cantano e suoni che per richiami diretti. La bravura del nostro è stata quella di riuscire ad amalgamare tutti i generi su citati in maniera ottimale. Soprattutto non tralasciando un occhio di riguardo alla melodia che mia abbandona il disco. Certo non sono ritornelli catchy o che si instillano in testa al primo a ascolto.
Si tratta sempre di refrain circostanziati, mai scontati. Considerato l’ambito di azione, Drop on Glass non fa mancare l’omaggio ai Cure. La loro presenza si fa sentire un po’ ovunque, ma in maniera particolare nella quinta traccia. Defeat. La matrice smithiana è palese. Dal suono al riff di basso, per proseguire con le tastiere, chitarra, batteria che immediatamente riportano a Pornography. L’elemento contraddistintivo è la voce. Il disco prosegue con Isole. Brano minimale, strumentale. Arpeggio di chitarra iterante, poggiato su tappeto di tastiera. L’evolvere è un crescendo di melodia, oltre che di intensità.
Questa sono sempre i synth a portarla in alto. La chitarra quasi non si discosta dal suo riff di base. L’idea delle isole è ben resa. L’insieme restituisce atmosfere rarefatte che fanno intravedere le onde del mare che circondano un isola, appunto. L’aria si fa più cupa con la successiva Missed Dream. Il brano inizia lento con un cantato evocativo. L’ingresso della batteria segna un cambio di passo, mid tempo, ma non di visione. Il nero è sempre il colore di riferimento pur aprendosi uno spiraglio di luce più ampio grazie al ritornello orecchiabile, quasi hard rock.
Anche la voce del nostro, fino ad ora più impegnata a creare immagini che in evoluzioni tecniche, si apre ad un cambiamento di timbro. Diventa più alta. Le aperture invece non mancano in The maximum sentence, una canzone in pieno stile hard rock/aor. La sola presa d’aria dell’intero lavoro. Struttura canonica, chitarra più presente. Si lasciano da parte istanze troppo cupe per dare spazio ad aria, sole, cielo azzurro. Il tutto molto ben fatto e molto apprezzabile dimostrando la versatilità di Drop on gless. Il rock di questo brano, compreso lo special in minore, è decisamente a stelle e strisce più che nord europeo. Molto curati i suoni.
Per dare maggior respiro le chitarre sono ricche di flanger e riverberi che ben si accompagna o alle tastiere. Un brano inatteso nel contesto generale del disco. Una bella sopresa che fa prendere ulteriori punti ad un lavoro già di per sé ben fatto. Come è spiazzante la decisione di chiudere con un a solo di sax e non di citarra. Altro piccolo tocco retro che ben si accosta. Si torna nell’oscurità, pur se meno pesante di quella dei brani precedenti, con la conclusiva Black and white.
E i colori dell’immagina descritta dal brano sono proprio quelli di una fotografia in bianco e nero. Torna il basso secco e pulsante. Orna la batteria dritta, rientrano le tastiere e la voce si fa più cupa. A ben vedere è la giusta conclusione per un disco che, eccezion fatta per una canzone, viaggia tutto su queste direttive. Molto ben centrato il crescendo dopo il solo di chitarra che vede anche un innalzamento del tono della voce. Batteria incalzante, chitarre piene a creare un wall of sound leggermente atipico per il genere in se se non richiamando band come Fields of Nephilim.
In conclusione. Davvero un ottimo lavoro. Variegato pur rimanendo ben contestualizzato. Drop in glass non ha puara di sperimentare, di miscelare generi, di trovare la strada migliore per esprimersi. Un disco consigliato si alle creature della notte, ma anche a chi è incuriosito da certe atmosfere che risultano sempre magiche. E la magia in questo disco non manca.