bastian

Il nuovo lavoro di Sebastian Conti, in arte Bastian, è un ottimo disco di rock/hard rock. Un disco lungo, è un doppio che si sviluppa su ben 20 brani, e conseguenzialmente complesso. Non tanto per struttura, è equamente suddiviso in due blocchi, quanto, appunto per la durata. Il nostro parte da ottime esperienze e collaborazioni. Nei precedenti lavori ha avuto al proprio fianco nomi decisamente altisonanti.

Michael Vescera (ex Malmsteen, Loudness, Animetal Usa, Obsession), Mark Boals (ex Malmsteen, Ulrich Roth). Vinny Appice (Black Sabbath, Ronnie James Dio), Thomas Lang (Paul Gilbert, Glenn Hughes), John Macaluso (ex Malmsteen, James LaBrie, TnT, Rivolta, J.Batten), Apollo Papathanasio (ex Firewind, Majestic). Ergo, capacità di songwriting, tecnica, gusto e padronanza non gli fanno difetto.

E così è. Il suon nuovo The Hermit’s Cave non ha nessun calo, nessun tentennamento o episodio meno ispirato di un altro. Il primo disco è decisamente più heavy. Dieci tracce di heavy rock diretto, con ottimi suoni. Molto azzeccato il gusto per la melodia, che non viene mai meno così come l’incedere pesante dei brani. Il sound è contemporaneo, compresso, al limite del thrash, alle volte. A coadiuvare Bastian in questa nuova fase sono Federico Paulovich alla batteria, il siracusano Dario Giannì al basso, e due cantanti, l’italiano Alessandro del Vecchio e lo svedese Christer Elmgren.

Line up completamente nuova. Volendo dare un riferimento stilistico, come indica lo stesso musicista, il sound può essere accostato ai Black label society. Almeno per atmosfere e andamento generale. Sono presenti accenni agli ’70 e ai gruppi classici, Deep Puprple in primis, grazie all’inserimento dell’Hammond, e al suono della chitarra in diversi frangenti. Le canzoni hanno al loro interno molteplici chiaroscuro che rendono obbligati ripetuti ascolti per poterli ben interiorizzare.

Un brano sugli altri è difficile da indicare. Per gusto personale potrei dire Headly Grace. Ma è, appunto, gusto personale. Si apre quindi il secondo disco. In questo mutano le atmosfere. Da cupe e pesanti si fanno più aperte e solari. Il disco vira verso lidi più rock. Fin dal primo brano si aprono melodie ricche di cori, arpeggi meno distorti, atmosfere che richiamano l’hard rock statunitense di fine anni ’80. Chiariamo, non si tratta di gusto retro che sfocia nel già sentito.

Sono le atmosfere, non la musica, a portare indietro nel tempo. E portano ai momenti migliori di quel periodo. In un certo senso anche il genere di riferimento si fa più labile. Lascia spazio a digressioni ora più rock, ora più metal, ora southern. Un viaggio nella musica dominata dalla chitarra che porta dagli anni ’70 ad oggi. Ottimo il lavoro della voce. Sempre ben inserita nel contesto, mai fuori posto o eccessiva. Merito anche della produzione che ha saputo valorizzarne il lavoro.

Si alternano maggiormente passaggi molto melodici a riffoni compatti. Molto curato gli a solo. Come per la voce, non sono mai eccessivi. Non ci sono svisate inopportune. È sempre tutto al servizio della canzone e della melodia che l’accompagna. Fanno capolino qua e là digressioni che si possono avvicinare al prog. Si tratta di passaggi che non appesantiscono l’ascolto rendendolo più otico. Sono evoluzioni naturali della composizione. L’asticella è in ogni caso spostata su coordinate non aggressive.

Le basi sono calde, aperte. Assenti momenti spigolosi. Si ascolti Beloved sunset o Sick society per avere un’idea precisa. Molto ben riuscita anche la seguente Heroes. Una semi ballad polverosa, ricca di riferimenti. La chiusura del lavoro è affidata all’unica vera ballata del disco, Jasmine e Sebastian. Qui fa la sua comparsa anche una voce femminile a sottolineare il dialogo tra i protagonisti.

Traendo le somme. Un buon disco di hard rock quello di Bastian. Non ci si aspetti un lavoro che cambi l’andamento dei genere di riferimento, ma un sano e robusto disco rock/hard rock. Le capacità al nostro, come detto in apertura, non mancano. E si sente. Nessuna pecca di narrativa, tecnica o di produzione. Se vogliamo trovare un aspetto di cui si sarebbe potuto discutere, è la scelta di pubblicare un doppio. È un disco che si può lasciare andare come sottofondo. Adatto ai lunghi viaggio, magari in estate, su autostrade semi deserte, con i finestrini rigorosamente, abbassati e il volume la massimo.

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