È sempre bello scoprire nuove realtà. In qualsiasi ambito, ma in musica lo è di più. Soprattutto quando queste sono più che valide, coinvolgenti e stimolanti. Stiamo parlando degli Unalei. Anzi, di, Unalei, all’anagrafe Karim Federico Sanna. Una lunga carriera alle spalle, il primo disco risale al 2014, composta da 5 cd in totale. Almeno fino al 2020, anno di pubblicazione del suo ultimo lavoro, Galatea, del quale ci occupiamo. Unalei non si fa problemi di genere. Sceglie agilmente quello che maggiormente si confà alla narrazione.
Allo stesso modo si destreggia tra italiano, inglese, spagnolo senza alcuna apparente continuità. I generi proposti sono davvero tanti, compresi diversi crossover. Si spazia dal rock al patchanka, come Crifiu o Sud sound system, si senta Anarada, per arrivare a lidi doom, afflati che richiamano Santana. Il tutto senza una netta distinzione. Nei brani rock ci sono momenti space, mentre nei frangenti più calmi, onirici, si sentono cavalcate di doppia cassa degne di gruppi black. S
i senta in tal senso Gloria. Base flamencata, con tanto di chitarra classica, cantata in spagnolo. Circa a metà il cambio. Inatteso quanto azzeccato. Doppia cassa, blast beat, chitarra a zanzara. La sola cosa che resta invariata è la voce. Questa è sempre delicata, evocativa, sognante quasi. Il che molte volte stride con quello che le accade attorno. Tutto ciò crea un magnifico contrasto sonoro dove sfuriate si contrappongono alla melodia costante.
Ma il disco non è ‘metal’ nel senso canonico del termine. Non è tutto ‘tirato’. Tutt’altro. Dalla su citata Gloria, si passa ad Azalea. Un altro mondo. Lasciate le chitarre elettriche, si impadronisce della scena il pianoforte. Fino a circa ¾. Qui interviene un nuovo cambio. Percussioni mediorientali spezzano il ritmo lento, morbido del brano. Si tratta di un breve interludio.
Ma tanto basta a donare alla composizione maggiore dinamicità e profondità. La seguente Portagioie, strumentale, si insinua sui binari della precedente quasi ad esserne compendio. Potrebbe essere benissimo utilizzata come ninna nanna per bambini quanto a delicatezza. Unalei non si ferma. Si spinge oltre andando a toccare anche generi letterari come il madrigale in Livida. La base strumentale si adatta al nuovo stile. Si fa portatrice di atmosfere d’altri tempi.
Dei tempi in cui il madrigale veniva utilizzato. Rispettando se stesso il brano non è monodirezionale. Al suo interno si alternano scene maggiormente orchestrate. Esse fanno da contrappunto al testo, ne enfatizzano la forza. Una nuova sorpresa è Aurea Mediocritas. Un racconto in lingua russa. Breve, intenso, onirico. Le atmosfere cambiano ancora con Lola. Un continuo alternarsi di generi e stili. Si inizia acustici, ma si va su terreni metal dopo pochi minuti. Quando ci si è ‘adagiati’ sulle melodie o sui passaggi melodici, il brano impenna.
L’ascoltatore non può che essere disarcionato dal so stato di calma apparente. Una volta toccato il suolo, il cavallo imbizzarrito inizia anche a scalciare. Non avendo riportato danni, ci si rialza con calma grazie al ritorno si aree più calme. Calma che dura poco. Siamo pur sempre su un terreno accidentato. Il cavallo non si calma. Alterna momenti di rabbia, ad attimi di inquietudine e calma apparente. Il tutto al servizio del testo. Un turbino di emozioni, per il protagonista. Il disco si conclude con due riproposizioni. Anarada, versione lenta, e Lola, in acustico. Quest’ultimo davvero interessante. Soprattutto per la resa del brano senza sovrastrutture armoniche. È eseguito nella sua essenzialità e sta in piedi egregiamente. Ottima performance.
Concludendo. Questo disco di Unalei ha dell’incredibile quanto ad eterogeneità, crossover e trasversalità. Le capacità tecniche del nostro emergono dall’insieme dell’opera. Così come la bravura del produttore che è riuscito ad enfatizzare al meglio tutti i cambi senza creare confusione. Un disco che va ascoltato davvero decine di volte prima di poterlo apprezzare appieno. Sono talmente tante le sfumature che diversamente è impossibile arrivare a goderlo appieno.