Another dance di Luke Paris è un volo a b assa quota che dagli anni ’90 porta ai giorni nostri. L’autore si muove su coordinate di rock ‘classico’. Le virgolette sono d’obbligo perché, appunto, le influenze raccolte sono molte. Il primo richiamo potrebbe essere quelle ai Soul Asylum meno distorti. Da qui in poi possiamo aggiungere moltissime band dedite ad un rock semi acustico con spiccate doti melodiche. Ed è proprio la melodia a caratterizzare tutto il lavoro. Paris ha davvero una dote innata per le linee vocali. Di richiami diretti non ce ne sono.
Il riferimento ai Soul Asylum è giusto indicativo per cercare di dare un’idea delle atmosfere. Siamo lontani dall’hard rock, anche se le chitarre sono ben presenti. Alcune inflessioni ritmiche riportano al primo Alice Cooper, anche come andamento dei brani. Ma molto meno ‘cupo’. Ottimo il lavoro della sezione ritmica. Le basi sono movimentate, dinamiche. In particolar modo è la batteria a colpire. Si ascolti il lavoro svolto per Falling like a lover, davvero pregevole. Il disco nel suo insieme risulta molto caldo, sentito.
Non mancano a sottolinearlo atmosfere southern come su Thinking of you. Steel guitar, arpeggi, orchestrazione per una semi ballad di sicuro effetto. Più andante la successiva R U still dreamin dove dominano i cori. Si rientra nel deserto con yes i do con tanto di effetto vento su citarra slide. Ed è proprio il sole bruciante che si sente nel brano, strumentale, di poco più di un minuto. Particolare la successiva Live in freedom. A caratterizzarla l’intero andamento del brano. Si tratta di un unico crescendo che dalla sola chitarra porta alla base completa. Il ritmo rientra con la seguente All in all.
Rullante percussivo, riff di chitarra catchy, ritornello super orecchiabile. Arriva poi la vera e propria ballata del disco, I just wanna be myself. Un brano dall’andamento quasi malinconico. Chitarra acustica, piano, archi. Atmosfere che non sarebbero dispiaciute al Lou Reed di Perfect day. Contesto hendrixiano per If i where you. Il dipanarsi della canzone riporta, i suoni scelti, l’incedere della batteria, tutto riporta all’asso della chitarra. A fare la differenza la voce e la sotto la strofa.
Pregevole il break centrale, ritmico, percussivo che apre all’a solo di chitarra. A sottolineare l’omaggio al chitarrista di Seattle, il wha wha. La chiusura del disco è affidata a Christmass gift. Brano mid tempo di rock semi acustico. Da segnalare l’andamento dell’arrangiamento, molto meno diretto di quanto potrebbe sembrare. In questo caso, nello specifico, potremmo richiamare i County Crows, voce a parte.
Tirando le somme. Un buon disco di rock quello di Luke Paris. Un disco onesto, sentito, libero dalla sensazione di dove dimostrare qualcosa a qualcuno. Un lavoro scaturito dalla sola volontà di esprimersi nella maniera migliore e più congeniale possibile. Paris alla voce non va mai fuori traccia. Anzi. Conscio e consapevole delle proprie capacità, come dei propri limiti, non cerca mai di strafare. Un disco estivo, da spazi aperti. Un disco che sa di libertà.
Cara redazione di Tempi Dispari,
Ho letto con grande attenzione la vostra recensione.
Il mio chitarrista e “partner in crime” Luca Pedroni che ha arrangiato tutte le canzoni (con il tocco di arrangiamento anche di Michele Guberti) mi ha scritto: “Caspita, un giornalista che ascolta davvero i CD!”
Penso che possa essere il piu’ bel complimento che possa farvi.
Grazie per questa bella recensione e vediamo “what the future holds”.
Ciao,
Luke Paris
Caro Luke Paris,
assolutamente si, è il miglior complimento che un recensore possa ricevere.
Quindi, non posso che ringraziare umilmente.
Recensioni non ne pubblico moltissime perché, appunto, i dischi li ascolto tutti.
E fino a quando non riesco a ‘sentirli’ come di deve, non scrivo una sola riga.
Grazie ancora.
Carmine