L’Italia, da nord a sud, è una fucina di talenti. Tra questi possiamo annoverare i partenopei Megaride. A poca distanza dall’uscita ufficiale, prossimo 26 marzo, il loro disco d’esordio, Mò, è un uragano nel deserto. Polveroso, potente, distruttivo. Per avere un’idea si devono prendere diverse influenze e miscelarle a modo di composto esplosivo. La base del nostro tnt è lo stoner. Aggiungiamo poi una forte dose di doom, southern, riff Black Society style, un pizzico di grunge, testi urticanti in italiano e dialetto e il gioco, più o meno, è fatto.
Più o meno perché la descrizione non è ancora esauriente. I suoni sono pesanti, i riff pachidermici, le distorsioni ultrasature. È un po’ come andare a cozzare distrattamente contro un muro di cemento armato. La prima reazione è lo stordimento. Non si capisce da dove sia arrivato il colpo. Mentre si rialza ci si accorge che il muro è davvero imponente. Improvvisamente dalle crepe dell’ostacolo emerge, a mo di Golem, una figura che inizia a darci schiaffi fortissimi. Ci tramortisce. La mente vacilla. Cerca un rifugio al crescente dolore. Attorno tutto cambia.
Diventa fluido, impalpabile. Le mazzate continuano ad arrivare senza che si possa reagire. Non ci si può quasi neanche alzare. I frangenti più lenti dei brani sono le mani pesanti del Golem che si poggiano violentemente sulla nostro faccia. Mentre andiamo al tappeto per l’ennesima volta, il cervello scava un anfratto dove potersi rifugiare. Sono i passaggi più psichedelici. Space quasi. Sempre pesanti, claustrofobici. Il nostro aggressore non ci permette di vedere più il cielo. Le parole dei testi sono i graffi che ci torturano la faccia, i lividi che piano piano iniziano a formarsi. Bruciano, sanguinano. Sono le chitarre a guidare l’intensità del dolore.
Sono i passaggi più grunge, Alice in chains style, ad ampliare la sensazione di sofferenza. Pur se lentamente il nostro aggressore su muove inesorabilmente. Non abbiamo ancora la forza e la lucidità per poter scappare. La nostra mente nel frattempo è riuscita a trovare un modo per sopravvivere. Gli schiaffi iniziano a non fare più così tanto male. Cominciamo a prendere coscienza che quel muro, quella statua semovente, lo abbiamo creato noi. Noi con i nostri falsi impegni, la nostra vita asservita, il tempo buttato sui social, la nostra vita venduta al miglior sfruttatore. O al peggiore.
Le sferzate di basso e batteria sono iceberg impenetrabili. Uno dei brani più interessanti del disco è sicuramente Cascate. Una lunga cavalcata lisergica. L’inizio è lento, affidato ad un riff leggero, in pulito. Battito di mani accompagna l’ingresso del basso. Il suo intervento è minimale. Pochissime note lunghe. Con l’arrivo della voce il brano aumenta di velocità. Il basso si fa pieno. Entra la batteria, anche se in maniera molto leggera. Il tempo è tenuto sul bordo del rullante e sul charleston. Lentamente la canzone si alza di intensità. Le chitarre si fanno distorte. Il basso pesante assieme alla batteria.
L’atmosfera si incupisce. Non c’è aria. È come se il golem di pocanzi ci avesse presi improvvisamente per la gola. Il colpo di grazia il nostro aggressore lo dà con Viaggeremo, ultimo brano del disco. Più che un colpo di grazia la canzone ci raffigura mentre ci alziamo da terra sanguinolenti. Guardandoci attorno ci rendiamo conto di essere soli. In testa una nuova consapevolezza. L’andamento lento della canzone fa da levatrice a nuovi pensieri. Le parole del testo gli danno voce. È la definita presa di coscienza di essere noi stessi i protagonisti della storia. Musicalmente è un momento per il grunge più oscure e pesante. Quello meno alla ribalta delle cronache. Il grunge marcio, sporco, urticante, intimo.
Concludendo. Ottimo esordio per i Megaride. Disco complesso, pesante, monolitico. Un lavoro che non si liquida dopo un ascolto. Anzi. Il cd riserverà sempre nuove soprese ad ogni passaggio. Disco ‘scomodo’, che entra nella parte più oscura della nostra anima sia di essere umani sia di cittadini per mettere a nudo le carenze, i compromessi, le rinunce. Parole per rendersi conto di quanto e come il nostro vivere troppo spesso non ci tiene nella giusta considerazione pensandoci come semplici numeri.
Un lavoro raccomandato a tutti ma che potrebbero apprezzare in nodo più rapido coloro i quali sono già abituati a certi suoni, a determinati andamenti.
Da non lasciarsi scappare.