Il nuovo album di Marco Bartoccioni è interamente registrato su disco. In questa intervista raccolta da Cris Allinson, l’artista racconta genesi e sviluppo di un progetta apparentemente anacronistico. Tutta da leggere
“Play the Joker” è il titolo del nuovo album del polistrumentista Marco Bartoccioni interamente registrato su nastro con la produzione di Paolo De Stefani. Una sfida al sistema, contro la musica “usa e getta” in onore della qualità vestita da una profonda passione, il tutto condito da impeccabili esecuzioni. Mettersi in gioco donando tutto sé stesso in un periodo storico estremamente complesso anche per una discografia malconcia e piatta. Unire la professionalità di un passato che fa ancora eco con la modernità di un messaggio attuale. Il rock è vivo ed è in perfetta forma. Scopriamo con l’artista curiosità e news su questo album.
Chi è l’artista Marco Bartoccioni? Raccontaci del tuo percorso artistico che ti ha portato alla pubblicazione di questo album.
Nasco a Roma il 20 dicembre 1978. Chitarrista Polistrumentista , ed ho collaborato e collaboro con: Teresa De Sio, Mike Grenee, Millie McLane, Dave Bechtel, Chad Cromwell, Mike Payne, Adam Nitti, David Price, Leszeck Chikonsky, Krzysztof Rybarczyk e Lecia Lousie. Avendo fatto moltissima esperienza live in molte parti del mondo, dal 2005 ho iniziato ad approfondire tutto il mondo musicale “Slide” in particolare, che racchiude Dobro, Weissenborn, Lap Steel, Pedal, ed è proprio con questo percorso che sono arrivato alla maturazione di un disco quasi interamente registrato con Lap Steel. Un lavoro importante, iniziato durante il periodo della pandemia, al quale tengo molto, grazie alla collaborazione stretta con Paolo De Stefani (produttore del disco), che ha generato un processo creativo molto stimolante.
Un sound che trasuda originalità e personalità, ma anche con molti riferimenti ai grandi del passato, quando la musica rappresentava ancora l’apice dell’espressione umana evolvendo e condizionando l’intera società. Quali i tuoi riferimenti artistici che hanno aiutato la tua ispirazione nella composizione?
Io sono cresciuto ascoltando moltissimo Rock/Blues, ma anche artisti molto significativi della nostra tradizione italiana, avendo l’opportunità di suonare anche con Teresa De Sio, e approfondendo così il grande panorama della nostra musica popolare. Ho cercato di unire queste influenze tentando di essere me stesso e inserendole all’interno di questo lavoro. Non è da nascondere che nella mia musica si percepiscano le sonorità di Eric Clapton, dei Rolling Stone, di Bruce Springsteen, di Stevie Ray Vaughan e di tanti altri artisti italiani dei quali ho assimilato anche le tecniche di scrittura.
“Play the Joker” è un album interamente registrato su nastro con la produzione di Paolo De Stefani. Un inno al ritorno di un glorioso passato. Una presa di posizione cosciente sfidando le regole dell’attuale mercato, una provocazione generazionale, oppure un bisogno personale di esprimere sé stessi abbandonando il freddo mondo virtuale tramite sonorità che colpiscono direttamente l’anima?
Senz’altro tutte e tre le cose. Io credo che la musica ben fatta, sia quella che rimane più longeva negli anni, quella che siamo in grado di ascoltare anche quando quelle mode passano, io ho cercato di fare questo, avvero di creare un album , che abbia un calore, un’anima, e che fra anni possa ancora essere ascoltato, magari mettendo su un vinile. Non condivido le produzioni “usa e getta” del momento, non ne critico assolutamente la musica che ne è all’interno perché la musica è bella tutta, sempre, perché è personale è soggettiva, ma il tentativo di andare in controtendenza rispetto a queste produzioni “veloci”, lavorando come si faceva negli anni 70”, ovvero su Nastro, è stata per me e Paolo De Stefani la vera grande sfida.
Lap Steel al centro dell’attenzione, soprattutto nei tuoi live. Una particolare esecuzione con una tecnica innovativa che stai portando alla ribalta. Raccontaci meglio.
La Lap Steel è uno strumento molto particolare, molti artisti americani la usano nei loro concerti, tra i più famosi internazionali conosciamo Ben Harper. Gli artisti che suonano e cantano contemporaneamente con questo strumento lo fanno da seduti, a causa della difficoltà di esecuzione ed intonazione dello strumento stesso. Grazie a delle modifiche strutturali apportate allo strumento, riesco ad utilizzare la Lap Steel in piedi, mentre canto, riuscendo a mantenere la dinamicità e l’energia di un power trio durante il live.
Tanta musica sulle spalle, palchi e sudore in onore alla dea musica. Con la tua esperienza e la concezione raggiunta della tua musica, cosa consiglieresti a dei giovanissimi per intraprendere un percorso artistico e discografico?
Questa è una bellissima domanda, il mio suggerimento è molto semplice, e probabilmente banale, ma credo sia la cosa più importante quando si fa musica propria; la cosa fondamentale è emozionare prima noi stessi con ciò che si scrive, per poi trasmettere quella emozione a chi ascolta. Senza questo piccolissimo dettaglio, il meccanismo della musica non funziona. Non fate musica per arrivare per forza da qualche parte, o per avere successo a tutti i costi, fate la musica vera che sentite, e poi il resto si vedrà.