Gli unici che possono tenere il passo con la creatività e l’unicità dei Fiesta Alba, per non dire con la loro ‘follia’, sono i Mr Bungle del signor Mike Patton. Altre band non me ne vengono in mente.
Prendete il più alto numero di generi musicali che conoscete, miscelateli ben bene in un contenitore, aggiungeteci più di un pizzico di follia schizofrenica. Ecco, più o meno avete raggiunto il nocciolo della proposta dei Festa Alba. Come detto per il singolo, si conferma per l’intero disco. I nostri si candidano come la proposta più originale ascoltata fino ad ora per il 2023. Elettronica, free jazz, dub, step, rock, dissonanze, stralci di melodia. Tutto nello stesso pezzo. La band dice di essersi ispirata al math rock inglese. Personalmente ci aggiungerei anche una buona dose di krautorock. E si sente.
Quella dei Fiesta Alba è una musica che si ascolta si con le orecchie, ma, soprattutto, con il cervello e i sensi. Il cervello deve essere ben collegato e allenato per seguire i cambi, i riferimenti, i suoni che si affastellano lungo la strada. Non c’è una sola canzone che rimanga fedele a se stessa dall’inizio alla fine. Ci sono sempre elementi nuovi ed inattesi che si inseriscono nel contesto armonico.
Passaggi da uno stilo all’altro, la voce che va e viene. Ora melodica, ora rappata, ora che richiama melodia africane. Se volessimo trovare un filo conduttore in questo mare sonoro, non in tempesta ma decisamente cangiante, potremmo dire la psichedelia. E si, perché alla fine si resta ipnotizzati dai brani. Ascolto dopo ascolto non si riesce a spegnere il lettore. Impossibile lasciare una canzone a metà. È anche vero che questo è un disco senza mezze misure. O lo si ama o non lo si può ascoltare. Neppure per due minuti.
Un track by track? Impossibile. Sono troppi i cambi, le suggestioni, le figure che si formano. Descriverle tutte richiederebbe pagine su pagine. Si può essere solo generici. Non per superficialità, ma solo perché è l’unico modo per cercare di descrivere cosa accade. Su un tappeto dissonante di chitarra, come in Burkina Phase, con ‘melodia’ iterante, improvvisamente si erge una tromba jazzata dal sapore metropolitano. Suoni dilatati. La batteria è un mix tra acid jazz e funky. Stop and go, interruzioni, voci altalenanti.
Tutto a creare una quadro impressionista. Di questo si tratta, a conti fatti. Di musica impressionista. Una narrazione tesa a suscitare emozioni, ricordi, nostalgie. Suoni che fanno da levatrice alla mente che si amplia i propri orizzonti sfornando suggestioni. Come davanti ad un quadro di Monet, di Degas, Pissarro non si può fare altro che cercare di cogliere il messaggio che l’autore ha voluto trasmettere, così ascoltando i Fiesta Alba.
La chiave di lettura del disco diventa così totalmente personale, non univoca. E neppure lo potrebbe essere univoca. Alle tecniche strumentali, di cui i nostri non fanno certo difetto, si aggiungono anche ‘artefatti’ di produzione. Il suono passa da una cassa all’altra incrementando il senso di disorientamento, da un lato. Dall’altro creando un mondo sonoro reale. Viene cancellato il riferimento primo di una canzone che potrebbe essere la voce.
Viene invece lasciato spazio a ritmi, colori, note, percussioni. Si viene lanciati in una sorta di jungla urbana dove si mischiano, si intersecano, si alternano diversi suoni. Una sirena, un’auto che sfreccia a tutta velocità, un clacson, un allarme, le voci delle persone. Tutto ben contestualizzato in ambito urbano. Ecco, forse questo è il modo migliore per approcciarsi al disco. Immaginare le immagini di Nadiaanna Crosignani, Paolo Sangalli e Livia Romilde Vaccaro. Poi chiudere gli occhi e ascoltare le musica.
Concludendo. Dopo quanto detto viene da sé che non stiamo parlando di un ascolto semplice né, tantomeno, immediato. Ma è proprio questa caratteristica a renderlo affascinante e ricco di suggestioni. Quello dei Fiesta Alba non è un disco che si possa far scivolare sottotraccia come semplice sottofondo. Neppure la duemilionesimo ascolto. Neanche tra mille anni.
È un disco che ha bisogno di sedimentare, di crescere dentro. Dobbiamo permettergli di prenderci per mano e trasportarci in questa metropoli caotica anche se conosciuta. In questi vicoli bui mentre luci al neon ne illuminano flebilmente il fondo. E non è un mood possibile a tutti. La paura di ciò che non si conosce o, di ciò che si conosce visto con occhi diversi, può paralizzare. Sarebbe un vero peccato se accadesse. Ci si perderebbe una vera e propria esperienza sensoriale.