A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione del loro ultimo lavoro (recensione), i laziali Radio8 si raccontano in questa intervista. La loro nascita, la necessità di scrivere musica, il loro punto di vista sulla scena underground, influenze, testi. Insomma una ricchissima chiacchierata per conoscere un’ottima band streetrock capace di regalare emozioni e divertimento. Tutta da leggere.
Una presentazione per chi non vi conosce
Ciao a tutti, siamo i RADIO8, streetrock band della provincia di Frosinone.
Ci siamo formati nel 2016 da un’idea di Enrico (il chitarrista), dopo diversi cambi di formazione quest’ultima si stabilizza nel 2017 con l’arrivo di Pasquale (chitarra solista), Ezio (basso), Devis (voce) e Andrea (batteria).
Nel 2018 abbiamo esordito con l’EP ‘Radio Hate’
Grazie a questo nei successivi due anni abbiamo cominciato a suonare nel centro Italia dove abbiamo calcato numerosi palchi.
Nel 2020 complice la pandemia e l’impossibilità di suonare dal vivo, siamo riusciti a catturare uno dei rari concerti e ne abbiamo fatto un live EP (Live at Pentatonic) pubblicato sempre nello stesso anno.
A causa di quest’ultima e delle sue restrizioni, nei successivi due anni abbiamo tentato in tutti i modi a fase alterne di entrare in studio per cercare di concludere le sessioni di registrazioni di DISCONNECT.
Dopo tre anni finalmente siamo riusciti a terminare il lavoro e siamo molto soddisfatti del risultato finale.
Il vostro ultimo album, Disconnect, risente di molte influenze. In particolar modo di un certo sound a cavallo tra anni ’90 e 2000. scelta consapevole o è capitato?
È la prima volta che ci accomunano ad un sound che risale ai 2000…le nostre influenze sono sicuramente precedenti (80/90), però hai ragione quando dici che ne abbiamo molte, ci fa piacere che la cosa arrivi e si noti.
Per rispondere alla tua domanda: sicuramente consapevoli.
Gli a solo dell’album sono consoni al genere, tuttavia hanno una vena hard rock molto presente. A chi si ispira il vostro chitarrista?
Pasquale è influenzato sicuramente dai grandi del passato…Page, Blackmore, Rhoads ma quello più vicino come stile ai soli che si sentono nel disco è sicuramente Slash.
I vostri testi, da dove nascono?
Dalla vita di tutti i giorni, dai problemi quotidiani, dalle vicissitudini personali…a storie di strada.
L’Italia ha bisogno di band indipendenti?
Eccome!
Ma sono soprattutto le band che hanno bisogno di supporto.
Se si guarda la Germania o i paesi scandinavi, lì la situazione e completamente diversa rispetto a noi…qui siamo indietro anni luce purtroppo.
Il rock oggi, secondo voi, evolve o si limita a riproporre, con qualche aggiustatina qua e là, ciò che è stato già fatto?
Il rock, come ogni forma d’arte si evolve, lo ha sempre fatto e sempre lo farà.
La storia ha dimostrato che ci sono stati momenti di crisi e momenti di successo, è anche vero però che l’ultima grande rivoluzione nel rock c’è stata nei ’90…stiamo vivendo un lungo periodo di crisi, quindi aspettiamo con ansia la prossima rivoluzione.
Perché mettere in piedi una band di brani inediti nella vostra zona?
Per necessità.
Per esprimere la nostra personalità.
E poi, serve davvero l’ennesima tribute band?
Esiste una scena nella vostra provincia? Se si, com’è il suo stato di salute?
C’è sicuramente una scena nella nostra provincia, ci sono molte bands che si danno da fare, che hanno qualcosa da dire.
Poi se ti riferisci al nostro genere direi di no, per quel che ci risulta siamo l’unica band a proporre un genere, diciamolo pure, demodé.
Che cos’è per voi l’underground e cosa significa essere una band che appartiene a questo mondo?
L’underground è e sarà sempre l’origine di tutto.
Anche le grandi band del passato erano underground o perlomeno lo erano prima di divenire mainstream.
Essere una band underground significa far parte di un’ecosistema dove si fa tutto con e per passione.
Una band indipendente che consigliereste ad occhi chiusi?
Eh una sola è un po’ difficile, ce ne sono tante che meritano, ci vengono un sacco di nomi, però se dovessimo menzionarne una, al momento diremmo i Nashville Pussy.
Una band mainstream che riesce ancora a stupirvi?
Dropkick Murphys
Una volta si suonava per esprimere se stessi. Il punk, il metal, il rap anche erano tutti modi di comunicare dei concetti, condividere stati d’animo. Per quella che è la vostra esperienza, oggi perché si suona?
Sempre per lo stesso motivo.
Si suona, si scrive, si crea per comunicare uno stato d’animo, un’emozione, un sentimento.
Qualunque esso sia.
Da più parti si lamenta spesso la carenza di pubblico ai concerti underground. Lo avete riscontrato anche voi? Se si, qual è il motivo, secondo voi e cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
Certo che lo abbiamo riscontrato.
A volte abbiamo suonato quasi davanti a nessuno!
Il motivo? Non è facile rispondere a questa domanda, o meglio rispondiamo con un’altra:
È colpa delle bands? Dei locali? Della gente che si accontenta di ascoltare la musica commerciale e di pagare cifre esorbitanti per vedere ancora dinosauri del rock invece di seguire nuove bands che hanno del nuovo da dire?
Dal vostro punto di vista, cosa manca all’underground nostrano?
Unione e consapevolezza
Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
Di nuovo un’altra idea, un’altro disco e suonare in più posti possibili per arrivare a più gente possibile, del resto non è solo del fottuto r’n’r?
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Il nostro iban per una donazione 🙂
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Diremmo a Chuck Berry: “questo è un pezzo un po’ vecchio dalle nostre parti…ma ai vostri figli piacerà!”
Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge
Un saluto e un ringraziamento tutti quelli che ci ascoltano e naturalmente un ringraziamento a voi di Tempi Dispari, per lo spazio e il tempo che ci avete dedicato ma soprattutto per il supporto che date alla scena e alle bands come la nostra.