Direttamente dagli anni ’90. Da quella decade arriva la musica delle Skinny Rats. Da tutti gli anni ’90, ossia non c’è un genere principale. Le nostre, perché di band femminile si parla, attraversano il decennio del grunge lasciandosi attaccare addosso tutto il panorama musicale di quegli anni. Dal nascente punk rock dei Green Day di Dookie o dei Bad Religion, passando per l’alternative garage di Screaming Trees, Pixies e Modhoney, senza tralasciare band come Spin Doctor e, ovviamente, il Seattle sound.
Un Melting pot di influenze che va a creare una miscela originale e perfettamente amalgamata. Ogni brano del loro Calm your ego down fa storia a sé. Il turbinio di richiami si comporta come i vetri di un caleidoscopio. A seconda di come viene girato mostra forme e colori diversi. Per le Skinny rats è la medesima situazione. I brani si alternano e si perdono ora su fraseggi punk rock, ora su reminiscenze acustiche, poi il basso domina con ritmi percussivi. Le stesse atmosfere, quindi, mutano di conseguenza. Si alternano brani aperti e diretti ad altri più claustrofobici e arzigogolati.
Dà avvio alle polveri Asteroids. La base è punk, ma il levare della batteria, il ritornello assassino ne fanno un brano molto diretto e non così pesante. Potremmo chiamare in causa i migliori No Doubt per dare un’idea dell’andamento. Molto azzeccato il break centrale dal sapore psischedelico. Una delle due chitarre si tacca dalla ritmica per dedicarsi all’iterazione di un breve riff dilatato, riverberato. Cambia anche il cantato. Si fa più lungo, meno ritmato. Il tutto per descrivere il nostro asteroide che si sta per schiantare. Il brano chiude in crescendo su una cavalcata elettrica con finale affidato a poche note di synth. La seguente Drama Queens mostra ancora l’ottima capacità di songwriting della band. Il brano parte diretto, potente, per poi rallentare ed alleggerirsi sulla strofa. È il basso a dare i tempi. Percosso, accompagna la voce non urlata. Il brano esplode letteralmente dal ritornello al bridge.
Una deflagrazione nel vero senso della parola che non si arresterà fino alla fine. Anzi. Si acuiranno le conseguenze grazie a diversi stop ang go. Menzione al basso che caratterizza ottimamente tutto il brano con lineee non scontate. Si prosegue con i Believe. Una malinconica semi ballad elettrica scura, intrisa di dubbio. Anche in questo caso la canzone non si dipana per una ola strada. Dopo un inizio lento, senza distorsione, si apre a lidi più potente e inquietanti. A sottolinearlo sono anche le chitarre che richiamano riff stule Marilyn Manson. Ma le soprese non di fermano neppure sul finale. Cambiano le atmosfere con Sumi. È come se i The Cure avessero incontrato i Blink182.
Il basso è quello della band di Robert Smith, mentre i riff di chitarra sono quelli del terzetto punk. Il tutto, miscelato, offre uno spaccato del tutto inedito. Ottima la prova della voce che sa adattarsi ad ogni contesto senza sforzo. Inizia in acustico Basedown, la composizione successiva. Arpeggio crunch, seconda chitarra in accompagnamento ritmico leggero. Tutto a creare una tensione che si apre nel ritornello. Ancora una volta è il basso a dare man forte ad una canzone già di per sé convincente. Il quattro corde offre quella marcia in più che la fa decollare. Così come una marcia in più la conferisce il break a circa ¾. Inatteso e quindi azzeccato. La sezione ritmica apre le danze per la successiva
Chinacena. Il richiamo è assolutamente funky, pur se con chitarra leggermente distorta. Si alternano attimi ultraritmati cone batteria in controtempo, con momenti diretti, dai ritornelli aperti e punkeggianti. Grazie allo special è uno dei brani che meglio rappresentano il decennio indicato in apertura. Su direttive più punk rock Teddy Bear. Diretta, saltellante, orecchiabile. Ma non per questa scevra di cambi. A metà circa, special di solo basso e voce che apre al ritornello e porta al finale. Il disco chiude con disaster. Il brano forse più heavy dell’intero cd. Heavy sempre inteso nall’accezione ’90. Si possono sentire reminiscenze di L7, Bikini Kills e via ricordando.
In conclusione: un disco ottimo quello delle Skinny Rats. Non tecnico in senso stretto, ma con un songwriting notevole. Le capacità della band emergono nei cambi repentini, nelle variazioni di atmosfera che caratterizzano ogni singolo brano. Tutto ciò con l’incredibile capacità di mantenere leggerezza e immediatezza. Un disco dai richiami precisi, ma non per questo scontato o che sa di già sentito. La band riesce a far emergere carattere e capacità. Consigliato agli amanti della melodia, da una parte, e a chi cerca soluzioni non scontate, dall’altra.