Quello dei Versozero è grande disco metal. Prima di creare scompiglio tra i fan e il disappunto del gruppo stesso per un’”etichettatura” così forte, chiariamoci sui termini. Metal non è solo un modo di suonare, un certo tipo di riffing o di testi. È una maniera di approcciare la musica, una determinata attitudine per i testi. Soprattutto è un preciso modo di esprimersi.
Quello dei Versozero è un disco pressochè perfetto. Suoni potenti, pastosi ma non caotici, suonato in maniera magistrale, equilibrato sia nel suo insieme sia nei singoli brani. Senza dimenticare le ‘infiltrazioni’ elettroniche sorprendenti e ben dosate. Ma quello che fa davvero la differenza sono la voce e, soprattutto, i testi. In special modo tenendo presente il cantato in italiano. Già scrivere in lingua madre non è semplice.
Ancor più complesso è riuscire a trovare la metrica e le melodie giuste. I nostri ci sono riusciti magistralmente. In tutto il disco non c’è la benchè minima ombra di banalità o di già sentito. Non esiste un riferimento univoco se non quello del metal. È un cantato metal con testi metal. Però in italiano. Moltissimi gruppi utilizzano un cantato urlato, che può rischiare di essere troppo scontato. Contestualizzato, ma senza emergere rispetto alla massa del genere in cui si muovono. I Versozero sono riusciti ad evitare questo tranello trovando una via del tutto personale, riconoscibile. Ammettiamolo, tante volte quando si ascolta un disco in inglese i testi sono quasi l’ultimo passaggio. Poi, una volta assimilato il lavoro, li si leggono restando stupiti, o in positivo o, anche, in negativo. I nostri stanno dalla parte del positivo. I temi trattati sono personali pur rimanendo adattabili a qualsiasi persona.
Sono melodici, coinvolgenti, intelligenti. C’è una ricerca terminologica, concettuale, stilistica che emerge in tutta la sua forza. Evitiamo accostamenti pindarici o fuori luogo. Lasciamo perdere il cantautorato con la c maiuscola. Prendiamo i testi delle band metal. Quelli più incisivi, abrasivi, stimolanti, che lasciano un’eco nell’anima. Ecco, più o meno, così possiamo trovare un riferimento. Per quanto riguarda invece l’aspetto esclusivamente strumentale, i nostri sono fautori di un heavy rock contemporaneo con influenze variegate rese ancora più ampie dall’inserimento di elementi elettronici.
Neppure questi ultimi sono riconducibili a band precise. Sono amalgamate talmente bene nel contesto che non si possono dire derivate. La tecnica ai nostri non fa per nulla difetto. Anzi. Potrei azzardare, come riffing, un richiamo ai Nevermore, senza la loro innata complessità. I passaggi melodici riescono a spezzare il muro di suono creato dalle chitarre. Questo si sente fin dalla prima canzone, L’ultimo giorno. Muri di suono vengono abbattuti dall’esplosione del ritornello melodico, che resta in testa già al primo passaggio. Magistrale. Ottimo il lavoro della sezione ritmica. Ancora più in evidenza, come gli inserti dei synth, nella seguente Le prede importanti. Questa è caratterizzata da un continuo alternarsi di elettronica e chitarre. Quando queste si incontrano emerge un mix di assoluto valore.
Si prosegue sulla medesima falsa riga con La cosa giusta. L’intro è drum and bass. Subito dopo entrano le chitarre. Sono una frana di massi enormi che si abbatte in uno stagno. A mitigarne l’impatto è sempre la voce. È da sottolineare il lavoro delle sei corde. Non si limitano ad accompagnare con power cord. Anzi. I loro interventi sono ricchi di riffing chirurgici, potenti, trascinanti. A sostenere la base ci pensa il basso. Il suo suono è alterno tra rotondità create dalle dita e momenti più ‘metallici’ dati dall’impatto del plettro sulle corse. Pregevole lo special verso i ¾ fatto dai cori. Struttura circolare, chiusura nuovamente sui synth. Arriva poi Il proiettile.
Un’introduzione che potrebbe richiamare, tecnicamente, gli a solo di Tom Morello. Successivamente si passa invece all’utilizzo di armonizzazioni che danno quel sapore melodico che disorienta. I suoni rimangono inalterati ma la struttura della canzone è più melodica. Anche qui non mancano inserti elettronici. Mai invasivi, sempre circostanziati e perfettamente dosati. Segue, Uomo. Emerge il basso. Il riff portante è suo. Martellante. La voce muta tecnica. Diventa più ritmata. Torna su coordinate melodiche sul ritornello. La tensione creata dl testo è sottolineata dall’inspessimento delle chitarre. Più che notevole lo special. Introdotto dai synth diventa un break strumentale ritmico.
Ai suoni elettronici si sommano le chitarre in palm muting e il basso metallico. Il risultato è un’onda sonora che travolge, che non lascia via di scampo. Il ritornello porta poi al finale. Si passa poi a 667 una più del diavolo. In questo brano è la batteria che si distingue. Abbandona l’accompagnamento classico per lasciarsi andare in un introduzione percussiva. Ottima spalla il basso. Anche per il quattro corde una menzione. Sono i soi giri a creare il maggior tappeto, più che le chitarre che in queto caso fanno da compendio. Lo si sente anche nel break centrale. Qui il basso tiene in piedi tutto lo stacco. Coadiuvato questa volta dall’elettronica. Rientro sul chorus e chiusura. Si riapre su frangenti sempre crossover con La vita che vive. Le atmosfere si fanno più cyberpunk. Synth e basso dominano.
Le chitarre sono quasi funkeggianti. Il tutto si alterna a passaggi più duri, quando la compressione prende il posto della melodia. A livello strumentale. Nel suo insieme possiamo definire il brano molto ‘umorale’, ossia cambia parecchio in base all’andamento del testo. A metà si erge una deviazione elettronica disorientante perché inattesa. La successiva Il manifesto si apre in odore di metal core. Senza la voce urlata. La melodia, pur sulla pesantissima base strumentale, domina. Non si ha difficoltà nel seguire le metriche del testo. Si alternano muri granitici ad aperture più hard rock. Questo fino a metà dove è presente un nuovo special, massiccio, pesante. La base è percussiva. Ritmata.
Ritornello e chiusura. Ultimo brano è Come acqua. La struttura è inversa rispetto alle altre composizioni. Apre in maniera pesante per poi lasciare spazio al basso e alla chitarra in pulito. Evolvendo si aggiungono gli altri strumenti creando un crescendo che si apre nel ritornello. La struttura si ripropone come dall’inizio. Circa nel mezzo, nuovo cambio. Riff folgorante di chitarra. Il ritmo diventa decisamente sostenuto. Le chitarre incrociano riff e ritmica. Ritornello e nuovo stacco. Questa volta più in sapore cyber. Questo introduce ad uno dei pochi a solo presenti nell’intero lavoro. A solo di synth che porta al finale.
Concludendo: che cosa si può dire di un disco di tale levatura? Nulla, se non, non lasciatevelo scappare. Che siate fan di musica pesante, melodica o meno, di crossover, rock o semplicemente di lavori fuori dall’ordinario, non potete non averlo in discoteca. È tutto al posto giusto. Suoni, intersezioni elettroniche, riffing, cantato, testi. Come detto in apertura non ci sono riferimenti diretti. Tra chi è riuscito ad utilizzare il cantato in italiano come i Versozero possiamo annoverare i Timoria o la PFM, ma nulla hanno a che fare con i nostri. Così come, nonostante l’elettronica, non possiamo chiamare in causa neppure i Subsonica. Quindi? Quindi complimenti alla band. Un lavoro davvero impressionante. La sola domanda che può sorgere è: come faranno a fare di meglio?