Per questa recensione dell’ultimo lavoro dei Gorilla Pulp, Mask off, iniziamo dalla fine. La band ha mosso i primi passi con un solo obiettivo, come da dichiarazione: unire le influenze heavy blues anni ’70 all’energia fuzzed-out tipica dello stoner rock moderno. Ebbene, l’obiettivo è stato pienamente raggiunto. Non c’è miglior definizione per descrivere la loro musica. Prendete le band che hanno fatto la storia del rock degli anni ’70, immergetele in un bagno stoner e avrete i Gorilla Pulp. Già questo delinea come il suono dei nostri sia personale. Ma non è sufficiente. Infatti i viterbesi aggiungono tocchi assolutamente inattesi.
Il singolo Don’t jump the fance faceva presupporre un ottimo disco, ed è arrivato. Il cd apre con un omaggio ad Ennio Morricone. Ma non è solo un volere rendere tributo ad uno dei migliori compositori nostrani. È una dichiarazione di intenti. Lo spalancare la porta sul mondo in cui ci si accinge ad entrare. Infatti la successiva I lose my mind sa di polvere, deserto, sabbia, sole rovente. Apre con un giro di basso iterante, chitarra slide e paradiddle di batteria. Il brano esplode in un mid tempo caratterizzato da continui stop and go. Batteria percussiva più che ritmica.
Ottima la melodia della voce sia per la strofa sia per il ritornello. Ben calibrata la decisione di separare basso e chitarra sul riff portante. Il quattro corde invece di doppiare pone accenti. Indefesso il lavoro delle chitarre. Sempre in movimento. A solo circostanziato, hard rock. Banding, passaggi lenti. Perfetto per il contesto. Si prosegue con Too many times. Le influenze seventie’s si fanno più presenti nell’intro per lasciare spazio ad un ottimo rock contemporaneo. L’andamento è hard rock con un pregevole utilizzo della voce che riesce a tessere intrecci melodici di rilievo.
Da sottolineare lo special dopo il solo, sempre ben dosato. Basso e batteria fanno da base a riff dal sapore bluesy. La chitarre zittiscono per dare spazio a solo basso e batteria. Voce recitata. Feedback e ripartenza con a solo di wha. È un solo urlato. Armonici, note acute, sofferte. Rientra la melodia del cantato che porta alla fine della canzone. Un finale degno delle influenze sopra citate. Della successiva Don’t jump the fence abbiamo già ampiamente parlato (recensione).
Arriva quindi Yellow mama. Qui è lo stoner a dominare. Almeno in apertura e nei break. La strofa è hard rock. Un ottimo connubio. L’atmosfera complessiva della composizione rimane pesante anche se la melodia non manca. Accompagnamenti serrati, compressione e batteria ‘pesante’. Circa a metà il cambio che spiazza. Il tocco personale che rende unico e riconoscibile il brano. Il solo di chitarra richiama, volutamente, lo stile di Tom Morella. È anticipato da uno special ritmico della seconda chitarra. Le note sono quelle del chitarrista dei Rage Against the Machine.
Nel secondo giro di solo si torna su coordinate più lineari. Alternanza di veloce lento portano alla chiusura. To live it free alza leggermente il ritmo. I tempi si fanno più veloci. Non un brano metal. Siamo sempre in ambito rock. Le chitarre macinano riff su riff. Inarrestabili. Primo intervento solista con wha. La composizione è calda. Ai power cord si alternano brevi arpeggi. Questo fino al cambio centrale. Basso e batteria martellanti, il quattro corde suonato con il plettro. Nuove note per le chitarre. Brevi riff con suoni lunghi, melodici. Il tutto trova risoluzione nell’esplosione del solo vero e proprio.
Anche in questo caso ottimo gusto. Le chietarre si cambiano gli interventi. Alla prima risponde la seconda riconoscibile dall’utilizzo del wha wha. Chiusura in cavalcata hard rock. Sapori più metal per Ask satan save me. L’heavy di fine anni 70 inizio anni 80. quello classico per intenderci. Sempre in salsa Gorilla Pulp. Quindi mid tempo, chitarre divise o armonizzate. Base martellante. Inatteso e perfetto il cambio centrale prima del solo. Un mutamento completo di direzione. Gli interventi solisti sono brevi, perfettamente alternati. Ma i cambi non si fermano. Ennesimo dopo una nuova strofa.
Ancora chitarre in evidenza con nuove melodie. Al rientro stop and go fanno da introduzione al finale. Di sapore più ‘alternative’ Wicked days. Un bel mix di suoni anni 90 e reminiscenze settantiane. Lodevole le aperture melodiche. Brano teso con numerosi stacchi vuoto pieno. Incisivo il solo. Questo vede l’utilizzo di harmonizer che danno nuovo colore alla chitarra. Ottimo il rientro melodico. La struttur circolare riconduce al riff iniziale per la chiusura.
Blues viscerale per The man who broke the time. Una ballata in bilico tra hard rock e blues. Arpeggio iterante, la seconda chitarra che disegna note oniriche, mai invasive. Voce evocativa e base ritmica minimale. Il momento solista è perfettamente incastrato nel contesto. Contrariamente al blues canonico, la composizione ‘decolla’ poco oltre la metà ad introdurre gli a solo. Il primo su base più veloce. Sul secondi si rallenta nuovamente per riportare la canzone sulle coordinate iniziali. Ed ecco il passaggio che spiazza. Un’impennata ritmica e solista inattesa che conduce al finale strumentale.
Chiude il disco Magic Van. Si torna negli anni 70 dell’heavy rock. I suoni delle chitarre richiamano i Kiss, come anche l’andamento generale. Il che, considerando il testo, ci sta. Kiss più duri però. Non mancano i cambi anche in questo brano. Dopo il solo interventi all’unisono delle chitarre introducono un rallentamento progressivo. Qui le distorsioni piene lasciano spazio ad arpeggi in pulito. La voce scende di intensità. In finale è un melting pot. Passaggi classici in crescendo sono miscelati con interventi contemporanei ai quali subentrano ritmiche heavy.
Concludendo. Davvero complimenti ai Gorilla Pulp. Un lavoro interessante, stimolante, non scontato. Soprattutto bravi nell’essere riusciti ad incastrare con tanta maestria suggestioni sulla carta decisamente distanti. Un disco che pur nella sua immediatezza nasconde anfratti che emergeranno solo di ascolto in ascolto. Una composizione che può saziare molti palati. Dagli amanti dei suoni pieni, non troppo saturi, agli estimatori del metal e del rock contemporaneo ma con sapore retro.