Pillole di inquietudine sociale
Il primo aspetto che salta all’orecchio del nuovo lavoro degli Alma Irata è senza dubbio il salto in avanti che la band ha compiuto, in tutto. In particolar modo nel controllo della modalità espressiva. La rabbia resta inalterata, così come l’immediatezza dei testi. Ciò che è migliorato è il come tutto ciò viene espresso attraverso i brani. Il maggior controllo ha avuto ottime ripercussioni anche sull’aspetto tecnico. Le chitarre sono molto più ‘mobili’ e quindi incisive.
Ottimo l’utilizzo della voce che pur tenendo fermo il proprio stile lo dosa decisamente in maniera più cosciente. Che si traduce in una più forte dinamicità. Pur ‘urlando’ non arriva mai allo stremo. Sia chiaro non si tratta di una ‘commercializzazione’. Solo di sapere bene cosa si vuol ottenere dalla propria musica e come arrivarci. Una grande mano la dà certo la produzione. Perfetta. È riuscita a carpire le potenzialità del gruppo valorizzandole al meglio. Detto ciò, passiamo all’analisi del lavoro.
Il disco apre subito con una dichiarazione di intenti con Sai chi ha fatto la rivoluzione. Una stralcio dell’Internazionale, rumori di manifestazione, sirene, il brano che parte con una base frammentata. Quasi fosse una miccia. L’esplosione arriva con l’ingresso della voce e il pieno degli strumenti. Furore e melodia si accompagnano nel ritornello. Molto ben congegnato il break successivo. Un cadenzato con riff praticamente thrash. Stop and go portano all’a solo. Inattesa la base. Solo basso e batteria. Solo breve, incisivo, circostanziato. Si riapre il il ritornello con il cantato più melodico.
La strofa trhashaggiante anticipa un nuovo cambio. Accordi lunghi con base percussiva. Si sfocia nell’hardcore. La chitarra incalza fino alla chiusura. Ogni santo giorno è il brano successivo di cui abbiamo già trattato nella recensione e che tiene il ritmo complessivo alto e di impatto. Arriva così Rito sociale. Un’onda d’urto travolge l’ascoltatore. Il cantato si fa meno urlato. Le coordinate sono inizialmente hardcore. Dirette, macigni rotolanti. Poi l’inatteso, bridge praticamente crossover. Ritmo spezzato prima di arrivare al ritornello melodico. Break, una frase e la corsa riprende. Il suono delle chitarre è uno schiaffo in piena faccia. Ottima l’alternanza tra potenza e melodia che dà la giusta dinamicità al brano.
A metà si cambia ancora. Un rallentamento repentino. Si fa presente il basso. È lui che tiene la linea portante. La chitarra commenta per poi entrare a gamba tesa con un riff circolare al fulmicotone. Si cambia ancora. Torna il ritmo spezzato. La ritmica è cadenzata. Entrano i cori a dare enfasi al testo. Chiusura. La seguente Talismano apre con un arpeggio incrociato tra chitarra e basso. L’ingresso della batteria apre le danze. Mid tempo pesante, pesantissimo.
Il basso tiene ferma la linea iniziale che si discosta sia dalla batteria sia dalla chitarra. Quest’ultima si limita tratteggiare una linea melodica che si incrocia con le note del quattro corde. La voce si fa evocativa. Abbandona la violenza dell’urlate. Ritmi spezzati fanno da bridge tra le strofe. Il ritornello invece, melodico e d’impatto, apre su un tappeto di chitarra deciso, pur se con accordi lunghi. Il rientro è quasi hard rock. Il basso riprende le redini. Il riff di chitarra è iterante. A ¾ special che si discosta dall’andamento melodico generale. Questo introduce ad un passaggio più lento caratterizzato da un andamento quasi stoner. Su questo poggia il solo della sei corde. Lento, caldo, riverberato. Pesante. Il brano resta su tali coordinate fino alla fine. La batteria in levare è un ottimo tocco.
Democricratico apre su un riff punk rock. Il ritmo subito impenna. Corre a rotta di collo fino al primo cambio. Si rallenta. La composizione si fa pesante e cadenzata. Non si ha il tempo di accomodarsi al nuovo ritmo che subito si torna a correre. Nuovo cambio. Si rallenta. Si fa presente il basso. È una rincorsa verso la strofa successiva a piena velocità. Il cantato si fa urlato. L’alternanza di veloce piano caratterizza il resto del brano fino alla chiusura in crescendo. Mid tempo per Spettri. Chitarra su armonici, basso in sottofondo e batteria ‘leggera’. Il brano decolla prima dell’ingresso della voce. Ottimo il riff di chitarra, orecchiabile ma duro. I cambi di passo sono numerosi.
Potenza si alterna ad aperture melodiche e cambi di ritmo. È crossover. Si possono sentire eco persino di Living Color in alcuni frangenti. Molto bello il rientro sul riff iniziale per dare spazio alla voce in crescendo di intensità e rabbia su ritmo cadenzato. Su direttive crossover anche la successiva Solo andata. Un riff che riporta la mente agli Atom Seeds introduce il cantato. Un riffing incalzante, funkyeggiante. ‘Trucchi’ tecnici, si legga filtri, enfatizzano il cantato. Un brano breve e diretto. Tom si presenta con un intro molto stoner. Riff circolare, potente, che non dà tregua. La batteria fa la vera differenza in questa composizione. Non è lineare, sulla strofa. È più percussiva, ritmica. Ottimi gli stacchi all’unisono chitarra/basso. Incisa l’apertura dei ritornelli. Offrono il giusto equilibrio tra i numerosi cambi, stacchi e la melodia.
Sui ¾ arriva un cambio inatteso. Sono echi streetpunk quelli che si sentono. Cori pieni, base ‘leggera’. Fino al finale. Suoni quali psichedelici aprono Con garbo. Basso in evidenza, batteria in contempo, suoni dilatati di chitarra. Quest’ultima è il filo rosso che conduce alla prima strofa. Il ritornello vede un mutamento di ritmo. Si rallenta. Preludio ad un nuovo mutamento. Ancora più piano. Note lunghe. Cantato di conseguenza. Uno special che apre al solo di chitarra. I riverberi continuano.
Il wha riporta agli 70. si torna alla strofa. Il riffing è led zeppeliniano. La struttura ciclica ripropone il cambio di tempo. L’ombra dei Black Sabbat si fa viva prima dell’ultimo ritornello. Andamento pachidermico che conduce al termine del brano. La chiusura del disco è affidata a Male nostrano. Potenza e melodia. La sezione ritmica fa la differenza montando in vero e proprio muro. In questo modo lascia spazio ai fraseggi ritmici della chitarra. Non è una canzone monolitica.
Le variazioni al so interno sono molteplici. Tra le altre va sottolineata la contrapposizione del ritornello rispetto al resto. Il ritmo, tra stop and go, rallentamenti, si fa sempre più incalzante. La voce urla. Sul finale si rallenta e si spegne il brano.
I testi sono stati lasciati in ultimo non per importanza. Sono caustici, diretti, senza peli sulla lingua. In puro stile Alma Irata. Perfettamente denotano la filosofia della band, il loro credo, la loro presa di posizione contro sfruttamenti, soprusi, violenze. Parole impegnate e impegnative, come lo è la musica.
Concludendo. Non si possono che fare i complimenti agli Alma Irata. Bravi. Un lavoro che segna un evoluzione nello stile, nelle modalità espressive. Passi avanti notevolissimi a sottolineare quello che ormai si sta assodando come suono personale, riconoscibile. Il capire che la rabbia va gestita se non vuole diventare caos è stato il passo decisivo. Un disco da ascoltare e riascoltare senza il timore che possa stancare. La complessità delle canzoni mostrerà sempre passaggi inattesi. Non un ascolto per tutti. Le orecchie devono essere ben allenate, la mente aperta. Diversamente, diventa un ascolto molto ostico. Ora non rimane che vederli da vivo per essere travolti dalla potenza degli amplificatori.