Si potrebbero affibbiare decine di definizioni al lavoro delle Pandorea. Quello che non cambierebbe è il significato della loro music: emozionante. Che si tratti di hard rock, di punk, di smaliziate melodie poppeggianti, che sia cantato in italiano o in inglese, il risultato è sempre lo stesso. Si viene trasportati. Uno degli aspetti migliori è che ogni brano contiene infinite contaminazioni. In Play with thunder la partenza è decisamente metal. Riff pesante, mid tempo. Il ritornello, invece, è hard rock con una strizzatina d’occhi alla musica fm. Quel tocco di pop che non guasta.
Ma non basta. Prima del solo, di ottimo gusto, si presenta un nuovo cambio. Tastiere voce evocativa batteria semplicemente sul charleston chiuso. Un mutamento di atmosfera perfetto prima della cavalcata finale in compagnia del chorus. Si prosegue con Sangue amaro. Qui all’intensità della musica si aggiunge quella del testo cantato in italiano. Le atmosfere si fanno più leggere, quasi synth pop nella prima strofa. Tuttavia non dura. La canzone impenna con suoni più decisi e batteria cadenzata. Subito dopo nuovo cambio. Si torna al synth rock. Il basso entra con un suono deciso, rotondo.
Entrano le tastiere. La batteria assume un ritmo sincopato. Questo passaggio pota al secondo ritornello. La struttura muta nuovamente. Cassa, riff di basso iterante, voce filtrata. Preludio ad un breve solo che porta al nuovo chorus che a sua volta cambia conducendo alla chiusura. Segue Il velo di Maya. Atmosfere darkggianti. Tastiere lunghe, batteria minimale, voce avvolgente, melodica, dinamica, cantato in italiano. È forse uno dei momenti migliori del disco. Intensa, variegata, accattivante. La mistura tra rock e pop è impressionantemente azzeccata.
La capacità di unire passaggi di tastiera a frangenti vocali ultramelodici pur rimando rock, non è capacità comune. A metà circa, un cambiamento. Il tempo si dimezza. Cambia l’andamento della voce. È quest’ultima che riprende le redini della canzone accompagnando l’ascoltatore in un volo altissimo, emotivo. The terrace è più in odore di rock fm d’annata. Tastiera aor, piano, cantato melodico. Lo stesso intervento di chitarra porta su quei lidi. Dopo un breve solo entrano gli altri strumenti.
Il brano si apre in un esplosione di melodia. Arpeggio di chitarra, batteria lineare, basso di conseguenza. Tuttavia non mancano le sorprese. A circa ¾ fa capolino un coro dal sapore lirico. Un’eco che si spegne presto ma caratterizza la composizione. La chiusura del disco è affidata alla pesantissima Invisible War. Prosegue il canta in inglese. I suoni si fanno più pesanti. Cadenzati, quasi industriali.
Le Panodrea sorpendono ancora con il ritornello. Melodia solare che spazza via il buio della strofa. Se non fosse per i suoni e la mancanza di una controvoce growl il lavoro del gruppo potrebbe essere messo sullo stesso piano degli Amaranthe. Il medesimo alternarsi si frangenti pesanti e puliti. La medesima vena pop, una voce pulita che coinvolge e rapisce. Il brano dopo il secondo ritornello cambia. Diventa solare e non torna più indietro, neppure per il finale.
Concludendo. Con dischi di tale fattura la speranza in un futuro migliore per la musica, rinasce. Il fregarsene dei limiti stilistici ma amalgamare ciò che serve alla buona riuscita di un brano è una scelta coraggiosa che, fortunatamente, accomuna moltissime band. Nel lavoro delle Pandorea ha un pesa differente perché include anche quel pizzico di pop non sempre è ben accetto. Invece nel loro contesto è perfetto. Ottima la produzione, l’esecuzione, il modo di suonare. Nessun funambolismo inutile. Solo attenzione alla resa generale dei brani. Ottimo ed invidiabile il songwriting, il riuscire ad amalgamare così bene generi e contesti musicali distanti. O considerati tali. Un disco consigliato a chi è stanco della solita musica ma non vuole rinunciare a melodia e potenza. E sembra che su Youtube le persone apprezzino: più di 27mila visualizzazioni in meno di un anno del loro video.