load rejection

C’erano una volta gli anni ’90. C’era il crossover, il nu metal, nascevano realtà musicali alternative. Esattamente da quel contesto muovono i primi passi i Load Rejection con il loro ultimo ep. Quattro brani che hanno la potenza di una macchina del tempo. Il bello è che, come Marty McFly, arriveremmo nel decennio pre duemila, con i nostri vestititi, con i nostri suoni e la nostra sensibilità. È quello che fanno anche i nostri. Base anni ’90 ma suoni, songwriting, esecuzione, tutto rigorosamente contemporaneo.

La band è il frutto dell’evoluzione mai paga del rock. I Load Reaction hanno tenuto fermo non solo un certo modo di comporre e suonare, ma anche la filosofia di base, nessun limite di genere musicale. Così il disco apre con Step on my faith. L’intro è un omaggio ai Korn migliori. Il prosieguo è una base funky con cantato rappato. Il ritornello è un’esplosione nu metal.

Ottimo il lavoro della sezione ritmica, basso in primo piano. L’alternarsi delle due parti offre un ottimo andamento al brano che risulta sempre incalzante senza mai perdere potenza. Subito dopo subentra un accompagnamento di chitarra in pieno Rage against the machine style. Perfetto per il contesto. Prima della chiusura si rallenta con il quattro corde che si sgancia dalla ritmica portante per librarsi su linee proprie. Si continua con Razorblade. Sempre sezione ritmica in prima linea. Perfetta la linea melodica della voce che alterna momenti cattivi a frangenti melodici.

La chitarra offre una base che si barcamena tra dissonanze, ritmiche piene e accordi aperti. Impossibile descrivere tutti i cambi. Il solo richiama il garage in voga in quegli anni. La reprise è su una grande linea melodica. Never know prosegue la corsa. Basso martallante segna l’inizio della canzone. La batteria di destreggia sui piatti con tocchi leggeri. Il cantato è di nuovo rappato. Questa volta a far da controvoce un passaggio narrato. Il ritornello è un nuovo colpo di cannone. La chitarra offre una performance saltellante con note singole ritmiche. Sempre tese in attesa dello scoppio del ritornello. Il solo è con il wha, ben costruito e perfettamente inserito. Alterna note lunghe a passaggi veloci.

Ancora la potenza del refrain accompagna un secondo intervento solista su note iterate in banding. Sul finale rallentamento generale. Chiude il disco Slaves. Introduzione a cura della sei corde che alterna accordi ad arpeggi distorti. Voce rappata incalzante. Basso sempre molto presente. La chitarra costruisce fraseggi aperti, melodici che vanno ad incastrarsi con il resto della ritmica creando un andamento molto dinamico. Il ritornello richiama l’introduzione. Si alternano attimi pieni a momenti più minimali dove la voce guida l’ascoltatore. Il riferimento potrebbe essere ai primi lavori degli H-Blocks. L’intervento solista poggia su una solida base ritmica con il basso in prima linea sostenuto da una batteria che riempie alla perfezione eventuali spazi vuoti.

Concludendo. Come detto in apertura, il lavoro dei Load Rejection è come una macchina del tempo. Riporta inequivocabilmente a sonorità ben precise. Quello che spiazza è ciò che i nostri aggiungono di tasca propria. È questo a fare una grande differenza. All’interno del disco si possono trovare reminiscenze acid jazz così come crossover, funky e metal. Ma sono solo alcune. Nel suo insieme è un ottimo lavoro che è difficile non apprezzare. La produzione è ottima così come l’esecuzione. Soprattutto tenendo presente che la base è composta da soli tre strumenti. Il rischio di avere dei cali o dei vuoti che avrebbero indebolito tutto il disco è stato evitato nel migliore dei modi. Un disco che fa presagire ad un grande full lenght futuro. Soprattutto grazie all’ispirato songwriting e alla preparazione dei musicisti.

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