L’imo di oggi prende spunto dalla dichiarazione rilasciata in un’intervista dal cantante dei Onelegman. Riassumendo: dopo trent’anni che sei nel giro sei arrabbiato. Sei arrabbiato perchè non ce l’hai fatta. Ma sai anche esattamente perché non ce l’hai fatta. Perchè non hai voluto. Non hai voluto che una passione diventasse un mestiere. Dopo così tanto tempo hai ben presente il lavoro, la fatica che bisogna fare per arrivare in alto. E non vuoi. Una passione non desideri che si trasformi in lavoro.
Rifiuti di entrare in un meccanismo costrittivo che ti allontanerebbe dall’essere quello che sei. Sai bene che cosa serve per trovare le date, poi organizzarti gli eventi magari da solo, farti le locandine, sponsorizzare l’evento, fare il roadie, quello che sta al banchetto del merch. E semplicemente non ne hai voglia. Semplificando, è una questione di soldi.
Queste le sue parole. Considerazioni che aprono un vaso infinito di pensieri. Il primo è che abbia ragione. Per arrivare lontano il cammino è lungo e faticoso. Soprattutto è costellato da difficoltà, ostacoli, tranelli. È vero che non tutti sono disposti a mettersi in gioco fino a quel punto. A sacrificare tempo e sudore per ottenere dei risultati maggiori. Ragione gliela si può dare anche in base a ciò che vedo tutti i giorni. Band che non si occupano dei propri profili social, che non sono presenti sulle piattaforme, che non curano il sito, che non hanno due righe di biografia scritte da nessuna parte.
Le stesse band che tante volte lamentano di non riuscire ad avere il giusto e dovuto seguito. Sarei potuto arrivare in alto, ma non ho voluto. È una dichiarazione forte. Un sasso in uno stagno di parole dette e ridette che hanno formato una sorta di muro di giustificazioni. Un continuo scarica barile su condizioni esterne non favorevoli. Come dargli torto se alla fin dei conti è la dura realtà? D’altra parte, però, c’è anche chi non si arrende. Chi, nonostante le difficoltà, le cadute, gli inciampi, non demorde.
Chi a fronte di mille casini riesce ad ottenere piccoli risultati che, messi tutti assieme, si trasformano in enormi passi avanti. Questo potrebbe bastare a smentire le dichiarazioni? Si e no. Si perché chi riesce ad andare vanti lo fa grazie alle proprie forze. No perché sono più gli artisti che vogliono arrivare fino ad un certo punto rispetto a chi vuole uscire da certi cliche. In ultima analisi il nostro semplifica, volutamente, riducendo tutto ad una questione si possibilità economiche.
Ed è questo un punto sul quale dissento fortemente. Vero, verissimo, se una band avesse i fondi per pagare grafici, web designer, social manager, ufficio stampa, roadie, sarebbe tutto più facile. Tuttavia ritengo, soprattutto ora, che sia solo una questione di organizzazione e di volontà. Capiamoci. Nessuno corre dietro ad un gruppo costringendolo a rispettare dei tempi di consegna per il sito, i profili social, le piattaforme di diffusione musicale. Il che equivale a dire che, un pezzo alla volta, sono tutte situazioni ottimizzabili. Certo, serve costanza, organizzazione, impegno.
Tutto suddiviso equamente tra tutti membri di un gruppo. Non può certo gestire tutto una persona sola. Nell’arco di un anno, un pezzetto alla settimana, si possono sistemare una miriadi di dettagli che possono fare una enorme differenza. Anche per questo l’underground non è preso sul serio. Perché i primi a non prenderlo sul serio sono proprio le persone che lo fanno vivere. Di soluzioni, senza esborsi economici insostenibili, ce ne sono un’infinità. Ad iniziare dalla suddivisione su base annua delle spese.
Senza contare le cordate. Se solo le band si accordassero per rivolgersi tutte al medesimo studio di comunicazione la spesa complessiva diverrebbe più che sostenibile.
Quindi? Quindi ha ragione. Ha perfettamente ragione quando dice che non ‘non ce l’abbiamo fatta perché alla fin dei conti non abbiamo voluto’. Le band che partono già con un budget, con super produzioni, una comunicazione impeccabile, un merch che spacca, le conosciamo. Sappiamo anche di che cosa sono il prodotto. E noi, che siamo il resto del mondo? Cosa facciamo? Ci fermiamo perché troviamo delle difficoltà? Quelle ci sono e ci saranno sempre.
Servono a crescere, servono a farci capire da che parte dobbiamo andare, ci guidano nel non ripetere gli stessi errori. Lo so, è un discorso già fatto anche questo. Ma riprenderlo aiuta. Scrivere, riscrivere, urlare che ci si crede, che ‘si può fare’ come diceva qualcuno, non è mai un male o tempo sprecato. Abbiamo in mano tutte le carte per cambiare le cose. Dobbiamo solo utilizzarle nel migliore dei modi.
Diversamente avrà sempre ragione il cantante dei Onelegman. Avrà sempre ragione sopratutto quando parla di consapevolezza del mancato raggiungimento di certi risultati. Certo, c’è chi in ambito underground si trova bene. E infatti il nostro chiude con un altro concetto condivisibilissimo. ‘Alla fine quello per cui non voglio smettere di lavorare è la possibilità di far girare la mia musica. Riuscire a suonare davanti ad un pubblico che apprezza.
Perché, dopo tutti gli sforzi, trovarsi davanti delle persone che cantano le tue canzoni, è una sensazione impagabile’. Ed è esattamente la direzione verso cui tutti dovremmo tendere. E per farlo non servono milioni di euro. Serve solo coesione, remare tutti verso la stessa direzione. Voler raggiungere tutti gli stessi obiettivi. Soprattutto, metterci tutti lo stesso sforzo, la stessa fatica. Diversamente non ci si potrà lamentare degli scarsi risultati.
Ripeto, abbiamo tutto nelle nostre mani. Basta iniziare con le cose semplici. Ribattere gli eventi anche di chi non conosciamo. Farne ascoltare il lavoro, seguire, essere attori attivi. Questo vale sia per le band, che devono essere consapevoli del loro ruolo, sia per il pubblico. Ancora una volta la parola chiave è una e una soltanto: consapevolezza. Di tutto. In particolar modo del non essere soli. Che lavorando tutti assieme possiamo andare lontanissimo, non solo lontano. Possiamo arrivare ad ottenere quel cambiamento che tutti auspichiamo ma che stenta a decollare. Un cambiamento possibile. Soprattutto, necessario.