I New Disorder sono una band romana nata nel 2009. Hanno all’attivo tre dischi e una miriade di concerti, molti dei quali oltre confine e oltre oceano. Da sempre si sono caratterizzati per un sound unico, riconoscibile. Una commistione di diversi generi perfettamente amalgamati. In questa intervista raccontano la loro storia e, soprattutto, cosa significa suonare dal vivo. Ad arricchire questa chiacchierata c’è il loro concetto di underground con i suoi limiti e le sue potenzialità. Un ricchissimo e stimolante scambio tutto da leggere in attesa di vederli dal vivo al VHellFest.
Una presentazione per chi non vi conosce
Ciao a tutti, siamo una band attiva da 14 anni e in continua evoluzione, al punto che alla fatidica domanda “che genere di musica suonate?” è difficile rispondere anche per noi!
Entriamo subito nel merito dell’intervista: per qualcuno la musica live sta morendo. Cosa ne pensate?
Probabilmente non si può dare una risposta categorica: i grandi eventi di musica dal vivo (tour di grandi band e festival maggiori in primis), indipendentemente dal prezzo dei biglietti che spesso risulta proibitivo, non sembrano soffrire di alcuna crisi evidente.
La problematica, invece, sembra esserci soprattutto per gli eventi di media e piccola portata: sono sempre di più gli artisti che, se negli anni addietro sono stati costantemente in giro per l’Europa o il mondo intero per portare la propria musica in sede live, oggi limitano le proprie uscite dal vivo a un numero minimo di date e routing sempre più compresse, per contenere i costi di produzione che hanno subito una netta impennata soprattutto negli ultimi 3-4 anni.
Da qui la scelta obbligata: alzare il prezzo del biglietto avendo come conseguenza la riduzione di pubblico o comprimere le spese (e conseguentemente, lo standard qualitativo dello show) mantenendo inalterati i prezzi? In un caso o nell’altro, la sofferenza del settore appare evidente. Probabilmente si può, a ragione, parlare di crisi nella produzione di eventi musicali live, a cui si aggiunge, sicuramente, anche un mancato ricambio generazionale del pubblico, soprattutto per generi musicali che vanno dal rock al metal più estremo. E, di conseguenza, una riduzione progressiva dell’affluenza.
Che cosa vuol dire per voi suonare dal vivo?
È la cosa che più ci è mancata nei 2 anni di pandemia e la cosa che più ci tiene in vita, come musicisti e come esseri senzienti. Il palco è la nostra comfort zone e ci godiamo appieno ogni singolo show.
Perché avete deciso di prendere parte ad un festival?
Prima della pandemia da Covid-19 siamo stati costantemente presenti nei bill dei festival europei ed italiani ed è una dimensione che amiamo particolarmente anche perché offre maggiori occasioni di contatto con il pubblico e con gli altri artisti. E, nel caso del VHellFest, la buona causa sostenuta dagli organizzatori non può che trovare pieno sostegno da parte nostra.
Secondo la vostra esperienza, come è cambiato il pubblico?
In realtà la sensazione è che il pubblico non sia cambiato più di tanto, ma si sia solo ridotto, probabilmente per le ragioni sopra esposte che riguardano gli artisti di media e piccola portata, categoria in cui rientriamo anche noi.
Vedete un cambio generazionale?
Questa è probabilmente la vera nota dolente: il cambio generazionale non c’è stato o c’è stato solo in parte e questo è drammatico per il futuro della musica non mainstream.
La difficoltà maggiore del suonare dal vivo?
I già citati costi di produzione dei tour, l’impossibilità (a livello underground soprattutto) di potersi esprimere al massimo del proprio potenziale a causa di limitate disponibilità di club adeguati ad allestire uno show di qualità, soprattutto per band piccole e medie.
Cosa manca ai concerti, pubblicità, supporto del pubblico o cosa?
Le limitate risorse economiche con le quali le band piccole e medie devono fare necessariamente i conti impediscono di promuovere adeguatamente gli eventi e, conseguentemente, condannano l’underground a rimanere tale indipendentemente dal valore effettivo della proposta musicale. In poche parole, quanta gente andrà ad un concerto che non ha ricevuto la giusta promozione, al di là di chi vi capita per puro caso?
Una band per cui vi piacerebbe aprire?
Ce ne sono tante, forse troppe! E per alcune ci è già accaduto (nel 2019 siamo stati special guest dei Disturbed nella data di Kiev del loro tour mondiale).
Una che vorreste aprisse per voi?
Qualsiasi band stilisticamente accostabile a noi e di qualità (ce ne sono tante nel nostro underground che nominarne solo una significherebbe fare un torto a tutte le altre).
Il vostro concetto di underground?
Uscire la sera per andare ad ascoltare musica in un live club, constatare che c’è un nutrito pubblico, incontrare gente che si conosce già, almeno di vista, perché si frequenta lo stesso ambiente. E, tutti insieme, entusiasmarsi per la/e performance di una o più band che fino a quel momento non si conoscevano.
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
Tra le tante, forse l’autoisolamento nella sfera underground che molti artisti si impongono nel rifiutare a priori logiche spesso viste come “commerciali”: non si può distribuire musica senza preoccuparsi di quale sia il proprio pubblico potenziale e, soprattutto, se quel pubblico potenziale possa o meno apprezzare la proposta musicale offerta.
La relativa cura potrebbe essere quella di sviluppare un minimo di capacità di programmazione e di marketing che aiuterebbe certamente a superare questo scoglio.
Ovviamente, non si va da nessuna parte se non si è credibili in ciò che si fa, ovvero se la proposta musicale non è coerente con l’immagine che la band mostra di sé, in termini non (solo) di look, ma soprattutto di “attitudine”.
Una band underground che consigliereste?
La lista sarebbe lunghissima, quindi si potrebbe iniziare dalle ottime band che divideranno con noi il palco del VHellFest: Smoking Tomatoes, Stilema, Grandeville, Aetherna, Radio Attiva e Old Bob Gunpowder.
Una mainstream che ancora vi stupisce?
Anche in questo caso la lista sarebbe abbastanza lunga. Primi fra tutti i Trivium perché con ogni disco riescono a portare un sound innovativo, lasciando però inalterata l’essenza della band che permette ogni volta di renderli immediatamente riconoscibili, denotando quindi il grande lavoro che viene svolto dietro ogni album pubblicato.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Cosa vorreste trovare nel backstage prima (e dopo) un live?
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Sicuramente i Pantera, sound che ti spettina, riff innovativi, con la loro musica sono riusciti ad influenzare tutto quello che è venuto dopo; per esempio in gruppi Groove Metal come i Lamb Of God troviamo moltissimi richiami proprio allo stile dei Pantera. Se li potessi intervistare penso che per prima cosa chiederei a tutto il gruppo come avviene il loro processo creativo, subito dopo prenderei Dimebag Darrell da parte e gli chiederei come fa ad avere un suono così chiaro ma allo stesso tempo potente con la sua chitarra.