lifebreath

I LifeBreath sono una band Death Metal di Milano. Il progetto nasce alla fine del 2017 con l’intento di un semplice e puro metalcore, ma ben presto devia verso sonorità con maggiori influenze death, spinte a loro volta dalla volontà di raccontare la mancanza di responsabilità degli uomini nei confronti del mondo che li circonda e il peso della tirannia dei potenti sui deboli. Lo stile musicale è ispirato a band come Trivium, Gojira, As I Lay Dying, Fit For An Autopsy. In questa intervista si raccontano. Spiegano il loro concetto di underground, cosa significa suonare dal vivo. Soprattutto ispirano a non abbandanora i propri sogni, per quanto difficile possa essere. Tutta da leggere!

Una presentazione per chi non vi conosce

Ciao a tutti, siamo Andrea (chitarra e voce), Paolo (basso), Dennis (chitarra) e Stefano (batteria), e insieme formiamo i Lifebreath.
Siamo una band metal con sonorità che spaziano tra il death metal moderno e il metalcore, anche se personalmente mi risulta difficile assegnare (a noi, ma spesso anche ad altre band) un sottogenere specifico. [Andrea]

Entriamo subito nel merito dell’intervista: per qualcuno la musica live sta morendo. Cosa ne pensate?

Le grandi band continuano ad attirare grande attenzione da parte del pubblico, nonostante si legga che alcune stiano tirando il freno su diversi eventi, a causa del prezzo sempre più proibitivo dei tour.
Rientrare di tutti i costi non è così scontato anche per i nostri idoli.
Per l’underground – in generale – sarebbe bello se ci fosse un maggiore coinvolgimento da parte del pubblico, più fame di novità.

Che cosa vuol dire per voi suonare dal vivo?

Suonare dal vivo è ciò che rende viva una band.
Forse anche un po’ inteso come banco di prova, è il modo per noi, di avere quel contatto reale con le altre persone, qualcosa che senti sicuramente di più rispetto al manifestarti da un paio di cuffie o delle casse; il modo in cui si percepisce pienamente la potenza di un gruppo, dell’amore per la musica, e della comunicazione – indipendentemente dal genere musicale.
C’è sempre un po’ di tensione prima di salire su un palco – grande o piccolo che sia – che ci accompagna durante tutto il live.
Ma è quella tensione sana che ci fa dire “Ok, vogliamo rifarlo!”.
Quanto è bello per una band stare in mezzo alle persone, condividere dei momenti insieme e comunicare attraverso la musica?!

Perché avete deciso di prendere parte ad un festival?

Prendere parte a un festival crediamo sia uno dei migliori modi per aprirsi agli altri, conoscere persone nuove, che si tratti di pubblico o di altri musicisti.
Non è mai fine a se stesso, o almeno sarebbe un peccato se lo fosse.
Può essere una buona occasione per incrementare il proprio pubblico, creare e mantenere un buon rapporto con organizzatori/addetti ai lavori o fondare rapporti e collaborazioni con altre band.
Ci sono un sacco di porte, sta a noi decidere quali aprire.
E poi, diciamocelo, condividere un palco con altre persone è decisamente più bello. Gli dona quella sorta di energia che lo rende “vivo”.

Secondo la vostra esperienza, come è cambiato il pubblico?

La percezione è che le generazioni precedenti siano state un po’ più interessate e temerarie rispetto ai piccoli eventi locali. Si azzardava di più e forse ci si godeva di più il momento.
Ora sembra che siamo molto focalizzati sulla qualità di un prodotto che deve essere eccelsa, per competere con l’enorme offerta nel mercato musicale dei grandi e piccoli artisti.
Si tende molto spesso a fare il paragone tra le diverse band, shows, album e canzoni.

Vedete un cambio generazionale?

Per i grandi nomi del Rock e Metal, c’è una gran presenza di pubblico giovane affiancata dalla vecchia guardia.
E mi fa piacere [Andrea] vedere come nuovi e storici fans condividano quegli istanti in cui una band performa i suoi anni di carriera sul palco.

La difficoltà maggiore del suonare dal vivo?

Dar vita a un concerto non è sicuramente cosa facile, dall’organizzazione della serata al volume dei monitor. A volte si pensa ad un live come quattro persone su un palco, ma ci sono molte persone che ci lavorano, per questo ci teniamo sempre a ringraziare chi opera sulla parte audio, i tecnici delle luci, i proprietari del locale e gli organizzatori (e chiunque non abbiamo menzionato).
Il tutto volto a creare una serata a cui valga la pena assistere, divertendosi.
Tuttavia la difficoltà maggiore sta proprio nel reperire le date.
Le cover e le tribute band, puntando sui grandi classici e su brani conosciuti, generano più coinvolgimento da parte del pubblico e sembra che siano favorite dai gestori dei locali; non sempre ovviamente, ma per chi fa inediti il gioco è un po’ più difficile.

Cosa manca ai concerti, pubblicità, supporto del pubblico o cosa?

Forse un mix di tutto, sponsorizzare un live è utile per la band, così come lo è per il locale e gli organizzatori.
Il tutto deve essere fatto in modo da stimolare l’interesse del pubblico e avere un maggiore coinvolgimento.
Si potrebbe fare qualcosa di più nello sponsorizzare le serate sui social e all’interno della venue stessa, perchè purtroppo l’impegno delle band – soprattutto quelle minori – la maggior parte delle volte non basta.

Una band per cui vi piacerebbe aprire?

Sono molte le band per le quali ci piacerebbe fare apertura, e ognuno di noi ha i suoi sogni nel cassetto; quello di Andrea è aprire per i Fit For An Autopsy e per i Gojira, soprattutto per il fatto di essere in linea con le tematiche affrontate nelle canzoni. E hanno un groove bello potente.

Una che vorreste aprisse per voi?

Personalmente [Andrea] è una cosa a cui non ho mai pensato nello specifico. Ho sempre avuto in testa questa immagine dei festival con molte band – non per forza dello stesso genere musicale, in cui tutti sono benvenuti e si crea una community solida e varia.
Non c’è un nome nello specifico, ma sarebbe bello “pestare” sui grandi palchi insieme alle altre band dello scenario underground.

Il vostro concetto di underground?

Aggregazione attraverso la musica.

La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?

Non crediamo sia un sistema malato, ma forse nell’immaginario collettivo c’è la percezione che sia un fenomeno minore ed è un peccato, perchè spesso non gli viene data l’attenzione che merita.

Una band underground che consigliereste?

Difficile sceglierne una, ci sono molte band validissime nello scenario underground, tra cui Continuum of Xul, VIDE, Abbinormal, Ordalia, Distorted Visions, oltre a quelle con cui non vediamo l’ora di condividere il palco del Coop Metal Beer 2023.

Una mainstream che ancora vi stupisce?

Metallica, e a dire il vero molte altre band con una carriera così longeva.
Fa piacere vedere quanta energia siano in grado di regalare agli spettatori, dal palco.

Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?

Non che non sia mai stata posta – ma che crediamo sia importante e giusta da fare – è la domanda sul significato delle canzoni. Capita che ci si soffermi molto sull’identificare il genere/sottogenere musicale, le sonorità, le influenze (aspetti comunque importanti, dato che stiamo parlando di musica), tralasciando un po’ quello che queste canzoni vogliono comunicare agli ascoltatori. O quello che, nel tempo, hanno comunicato a noi stessi.
La musica è un mezzo di comunicazione molto potente.

Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?

Elvis! Perchè ha segnato uno dei più grandi punti di svolta nella musica.

Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge

Grazie per essere arrivati a fine lettura!
Non smettete di credere nella musica, nelle grandi band che han fatto la storia e in quelle piccole che in qualche modo ci provano.
Ancor di più, non smettete di credere in voi stessi, che siate musicisti o meno, nelle vostre passioni e in ciò che vi rende felici.
Talvolta può essere frustrante non riuscire a raggiungere i risultati che ci eravamo prefissati, ma forse è vero che sono le giornate tristi a rendere quelle felici un po’ più speciali.
Un saluto a tutti i lettori e un grande abbraccio allo staff di Tempi-Dispari che ci ha permesso di dire la nostra in questa intervista!
Ciao!

LIFEBREATH
Andrea Vinci – Paolo Monte – Stefano Morelli – Dennis Coladonato

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