Rendere omaggio al periodo d’oro del death/black senza essere ripetitivi o banali non era compito facile. Gli Huronian ci sono riusciti. In che modo? Seguendo se stessi e quella che è la loro visione della musica prediletta. Ovvio che l’ambito stilistico è ben definito. Meno ovvio il risultato. Un disco interessante, che cattura fino all’ultima nota. E personalmente non sono un fan del genere. Stimolante anche la scelta del tema che anima i testi. Sono infatti liberamente ispirati a “At the Mountains of Madness” di H.P.Lovecraft.
La stessa copertina dell’EP raffigura i paesaggi in cui è narrata la storia. Questo descrive ancora meglio le atmosfere che si possono respirare tra i solchi. Cupe, pesanti, iperdistorte. Se avete letto il racconto ben potete immaginare i quadri sonori che i nostri hanno potuto costruire. Diversamente dovete immergervi all’interno di oscure grotte glaciali nel ventre delle quali sono addormentate entità sconosciute.
Sconosciute e malvage. Il disco apre con l’intro strumentale the Guild. Un delicato ricamo acustico con sottofondo di tastiere. Perfetto per la fase iniziale del racconto. Torture’s creed parte subito in quarta. Un melting pot del meglio del death. Le influenze sono riconoscibili ma perfettamente amalgamate a creare uno stile proprio dei nostri. Sfuriate intrise di melodia, break in mid tempo, a solo lancinanti, voce strappata. Tutto al posto giusto. La tecnica, il controllo dei mezzi da parte degli strumentisti è innegabile.
Soprattutto è a dei livelli davvero alti. Nessuna sbavatura. Nessun tentennamento. Un pugno in faccia. Poco meno di tre minuti per una corsa a perdifiato. Si prosegue con Over frozen heights Pt1. Si rimane su ritmi serratissimi. Anzi. Se possibile, si velocizza. Non parliamo di crust, ma di un black adrenalinico. Blast bit e mid tempo si alternano a creare atmosfere chiuse, claustrofobiche evidenziate da uno special rallentato all’interno del quale si inserisce il solo. Questo è dosato tra note lunghe e sweep repentini. Si riparte in velocità per accelerare ancora. Non c’è tregua. Si rallenta solo sul finale.
Over frozen heights Pt2 è un brano pesante, pesantissimo. La velocità resta sempre sostenuta ma i passaggi lento veloce si alternano maggiormente. Molto ben proposto il solo centrale. Melodico, circostanziato. La ritmica è inarrestabile. Dopo una nuova strofa subentra il secondo stacco solita. Le due asce si incrociano e si scambiano le parti. La ripartenza è su un mid tempo rotto dalla cassa in 16simi. Le chitarre sono inarrestabili. La ritmica incalza e trascina, come genere impone.
A chiudere il disco ci pensa Blazing bolt of hatred. Una discesa a rotta di collo verso gli inferi. O, più lovecraftianamente parlando, verso la follia. Nessuna tregua. Non c’è aria. Le gambe trasportano verso l’uscita dalla grotta mentre le mente si perde passo dopo passo. Verso i ¾ cambio di ritmo. Si rallenta. Si riprende fiato prima dello scatto finale. Pur se i muscoli fanno male, non ci si può fermare. Gli ‘antichi’ (non i Grandi antichi) sono alle calcagna. Una volta superata la bocca del baratro la sola certezza è di averci lasciato la parte sana dell’intelletto.
Concludendo. Come detto in apertura, quello degli Huronian è un disco che una volta avviato non si può fermare. E per la musica e per il coinvolgimento. Velocità, potenza, padronanza tecnica, consapevolezza del risultato. Sono tutte caratteristiche che si evincono ad ogni solco, ad ogni passaggio. Il lavoro non stanca neppure sulla distanza di ripetuti ascolti, anche consecutivi. Anzi. Ad ogni passaggio il viaggio va sempre più in profondità. Un disco che potrebbe accontentare, da una parte, i nostalgici di certe soluzioni ma che non vogliono sentirle iterate pedissequamente. Dall’altra chi non è avvezzo a certi suoni ma è curioso di sperimentarli. Non è un lavoro per palati delicati.