Sono arrivati da recensire due live. Non si tratta proprio di artisti underground. Sono affermati e conosciuti. Tuttavia, quando saprete di chi si tratta, capirete perché sono queste pagine. Uno è italiano, l’altro no. Entrambe cantanti. Due band differenti. Anche questa recensione è inusuale. Ci si occupa di due dischi nello stesso momento. Perché? Il motivo è che sui suddetti live non si può dire nulla. Parliamo di Pino Scotto e di Blaze Bayley.
Che cosa si potrebbe mai ‘criticare’ su un disco dal vivo registrato da loro? Che è brutto? Suonato male? Loro non sono più in forma? I musicisti non sono all’altezza? Sono presenti sbavature? Il pezzo x lo avrei fatto più veloce? Cosa si può dire? Nulla. Ogni dettaglio all’interno dei dischi è al posto giusto. I due vocalist non sono fuori forma, anche perché, se così fosse stato, non avrebbero mai pubblicato i rispettivi full lenght. Le band sono più che degne, preparate, potenti.
La produzione è ad hoc, secondo le necessità espressive di ognuno. Quindi? Resta solo da chiedersi l’utilità di uscite di tal fatta. Documentare un live particolarmente ben riuscito? Ci può stare. Ma è casuale. Non si può pianificare un live ben riuscito. Qual è l’utilità se oggi come oggi abbiamo internet che può smentire delle performance apparentemente perfette che video registrati in loco e non post prodotti. Se al concerto registrato ci fossi stato e dovessi sapere che non è stato un gran che, vedendolo registrato su disco la prima cosa che mi chiederei è: ma quanto è stato ritoccato?
Loud and raw? Davvero? Possiamo parlare delle scalette scelte. In entrambe i casi a metà strada tra il commemorativo e i progetti per il futuro. I cavalli di battaglia sono stati affiancati ai nuovi corsi. L’evoluzione sugellata da brani di transizione. Come si diceva, tutto al posto giusto. A ‘giudicare’ dalle registrazione le performance dei nostri sono state incredibili. Certo, non hanno cercato di tornare indietro nel tempo nel tentativo di riagguantare tonalità ormai dimenticate.
Hanno ottimizzato, come due leoni che la sanno molto lunga, quelle che sono le loro capacità attuali. Risultato più che positivo. Resta la domanda: perché si dovrebbero avere questi dischi? Perché sono testimonianze di un periodo. Sono documenti che certificano come non sempre il trascorrere del tempo deve essere visto in maniera negativa. Non ci sono i lazzi di una volta e, gia questo, è un ottimo segno. Sono in ogni caso due registrazioni oneste.
Fotografano lo stato di salute dei due vocalist ad un certo numero di anni di stanza dal loro periodo d’oro. Non tutti hanno la fortuna di Robert Plant di aver conservato l’ugola quasi intatta. Pino Scotto e Blaze Bayley sono consapevoli dei propri limiti e non sono spaventati. Ne prendono atto e li sfruttano al meglio. Ci troviamo di fronte e due live che non cercano di scimmiottare ciò che è stato. Sarebbe stato inutile. Presentano ciò che c’è ora. Due leoni che ancora hanno qualcosa da dare e da dire.
Il non raggiungimento di determinati acuti non è fastidioso. Semplicemente perché non ci provano. Tragico e triste sarebbe stato il contrario. O il sentire un certo passaggio lasciato inalterato quando la voce non ce la fa. Ci sono cantanti che hanno fatto questa fine. Voci decisamente famose e diventate iconiche proprio per le loro estensione. Ma il tempo passa per tutti. Far finta di nulla rovina non solo quello che si può o si potrebbe fare, ma anche quello che si è fatto.
Nessuno dei due performers rimane fermo all’ombra di se stesso. Entrambe splendono di luce propria. Una luce contemporanea, contestualizzata, sincera. Ecco, per questi motivi, se non da avere, sono certo due dischi da ascoltare fino all’ultima canzone. Nessun canto del cigno, nessuna deposizione di armi. Esclusivamente due personaggi che, tornati alle origini fuori dai riflettori, si rimettono in gioco con quello che hanno. Un esempio se non per tutti, serto per molti.