Molto interessanti le riflessioni emerse dalle interviste sui live fatte a più di 10 band. Quella che domina è che l’underground non è un mondo in crisi. O, per meglio dire, non più in crisi di altri. L’aspetto che tutte i gruppi interpellati evidenziano, è la mancanza di promozione adeguata. Spesso si organizzano eventi, si programmano concerti, si pubblicano dischi, senza avere la benchè minima idea di come fare per farli conoscere. Gli artisti non riversano la responsabilità sul pubblico. Praticamente nessuno ha detto che il pubblico è menefreghista o pigro. Tutti rimarcano la mancata informazione.
Questo sposta la bussola su altri protagonisti della scienza: promoter e operatori. Sono in particolar modo questi ultimi ad avere carenze. E sono carenze spesso tecniche, a, ancor più spesso strutturali. Vero che i grandi nomi su un cartellone attirano automaticamente pubblico. Ma se quel cartellone non ci fosse? Se i Metallica, solo per citare un nome ultimamente tornato in auge, non avessero martellato ovunque con la pubblicità, chi li avrebbe ascoltati? Solo gli appassionati. E si parla dei Metallica.
Il loro asso nella manica? Vivere nel proprio tempo. O avere chi lo fa per loro. Quindi, pianificazione, utilizzo ottimale dei social, delle piattaforme streaming, dei canali digitali. La prima obiezione che si potrebbe muovere è quella economica. Loro hanno migliaia di euro da investire in queste cose. Noi undergrounders no. Vero, ma noi dobbiamo avere tempo, se non abbiamo soldi. E questo è gratis. Ci si può sforzare all’inverosimile per produrre musica originale, nuova, mai sentita.
Ma se nessuno lo sa, nessuno la scoprirà mai. Quindi? Sarebbe ora di adeguarsi. È il solo metodo per uscire dall’isolamento, altro elemento messo in evidenza dalle band intervistate. Tuttavia adeguarsi non significa utilizzare i canali promozionali a disposizione come farebbe una persona over 70. Campare scuse come: abbiamo superato i 50 e certe cose non ci interessano, non vuol dire nulla. La domanda allora è: perché fate musica? Perché volete suonare dal vivo?
Va bene, non diverrete i nuovi Nirvana, ma gente ai concerti ne deve venire. E, oggi come oggi, uno dei metodi è quello di essere una presenza costante su internet. È un discorso già fatto ma che deve essere ripetuto costantemente se si vuole un cambiamento. Diversamente tutto rimarrà com’è che equivale a dire incamminato verso una morte annunciata, certa. Il pubblico non manca. Le persone interessate all’underground neppure. Manca la capacità degli artisti di volersi mettere in gioco in maniera totale. Esistono canali youtbe che trattano di underground che hanno un centinaio di migliaia di iscritti.
E parlano del nostro mondo. Come è possibile che ci sia così tanta gente disposta e interessata? Non dovrebbe forse sorgere il dubbio di star sbagliando qualcosa? Possiamo anche dare la colpa all’elevata età di molte band. Ma sarebbe solo spostare l’attenzione su un falso problema. Per dieci band over 40 ce ne sono 100 under 30. E non è una congettura. Basta vedere la quantità di dischi di band giovani, se non giovanissime, che arrivano alla nostra pagina. Sono moltissimi.
Tutti super validi. Quindi? Qual è il problema? Invidia? La consapevolezza di non avere più vent’anni e non poter andare in tour con gli Iron Maiden o i Muse? Credo siano tutte quisquiglie, pinzellacchere, come diceva Totò. O magari il non sentirsi più al passo con i tempi? Come può l’underground attirare l’attenzione se chi lo popola non si dà da fare perché ciò avvenga? Il motto di TD: facciamo la differenza assieme, non è mai stato così necessario e valido. Che ognuno faccia la propria parte. Bene.
Non in maniera approssimativa per poi lamentarsi di non ottenere i risultati meritati. Fino a quando ci saranno artisti che di cui in rete non si trova traccia, resteremo sempre fermi nel nostro limbo. È impossibile solo pensare che gruppi con carriere più che decennali non abbiamo una biografia decente o non ce l’abbiano per nulla. Se è così di cosa stiamo parlando? Del nulla. Ci si parla addosso senza in realtà voler andare da nessuna parte. E questo vale per tutti, dalle band ai promoters passando da chi vorrebbe promuovere band ed eventi.
La domanda a questo punto sorge spontanea: vogliamo davvero che le cose per l’underground cambino, oppure no? O preferiamo rimanere un mondo confinato nei propri limiti che sempre si lamenterà di non ricevere la giusta attenzione? Se prima per essere notati era sufficiente essere sul palco giusto al momento giusto, oggi non è più così. Il palco è diventato il mondo. Il concerto cui si prende parte è senza fine. È questo forse il vero problema.
Ossia, che tutti sappiamo che è così ma pochi vogliono prendersi la briga di lottare nella maniera migliore. E quando lo fanno, riuscendo anche ad emergere, vengono tacciati di tradimento, di essersi svenduti, di non meritare ciò che stanno ottenendo. Sbagliato. Per chi viene dall’underground nulla è regalato. Tutto è conquistato con dedizione, sforzo, passione, sudore e impegno. Ma pare che molti preferiscano cercare scorciatoie. Il consiglio è quello di chiedere ai Maneskin. Se non ci si fa notare, nessuno viene a bussare alla nostra porta solo perché ha sentito parlare di noi. È tempo di rendersene conto e di muoversi di conseguenza. Diversamente, la strada è già tracciata. E i carnefici, siamo noi stessi, non il pubblico.