Prendete buona parte dei guitar hero’s degli anni a cavallo tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90, mescolateli al suono dei Testament e, più o meno, potrete avere un’idea dei quello che è Ultradead di Andy Martongelli. Un disco da guita hero in tutto e per tutto. Soprattutto, un disco adrenalinico. Il nostro pare essersi concentrato sulla voglia di suonare, non su quella di dimostrare. I brani coprono stilisticamente buona parte del mondo metal.
Dall’epic al thrash. Vengono esclusi solo le frange più estreme del genere. Per questo il risultato è come un’onda che ti cattura sul bagnasciuga, ti porta al largo per poi riconsegnarti alla terraferma. Stremato, provato, ma entusiasta dell’esperienza. Prendete Skolnick, Malmsteen, Steve Vai, Satriani, e chi più ne ha più metta, mescolateli. E partite per questo lungo viaggio nel mondo della chitarra. Uno degli aspetti più apprezzabili del disco è che Martongelli ha prestato molta alla sezione ritmica.
A livello solistico il lavoro è ineccepibile. Sono interessate praticamente tutte le tecniche eseguibili sulla sei corde. Si passa da sfuriate ad altissima velocità a passaggi più bluesy. Il tutto a colorare un quadro variopinto e ricco di sfumature. Un track by track approfondito è impossibile. Sono talmente tanti i cambi e le influenze che si rischierebbe solo di essere prolissi senza riuscire a dare un’idea corretta di quello che accade.
Per questo meglio concentrarsi sulle sensazioni che i brani trasmettono e sul contesto che disegnano. Si parte subito in quarta con Army of darkness. Un brano che si muove su coordinate epiche malmsteeniane. Melodia a profusione alternata a sferzate supersoniche di note. Ciò che catture è l’andamento del brano, l’aspetto narrativo. Una colonna sonora per una battaglia senza esclusione di colpi tra eserciti vichinghi.
Da segnalare il break centrale dove si rallenta a favore di un muro sonoro d’impatto. Colossus tiene alto il ritmo. La struttura del brano tiene fede al titolo. L’immagine è proprio quella di un gigante che si muova in maniera imponente in una città ricca di vita. Anche in questo caso break centrale che rallenta per dare spazio alla descrizione di ciò che avviene nelle strade. Il passaggio del gigante non ha intenzioni distruttive. Si cambia con Ultradead. Andamento cadenzato e pesante iniziale.
Mid tempo marziale. Nonostante questo il brano risulta aperto, non claustrofobico. I cambi che si susseguono sono molto progressivi, in particolar modo per la sezione ritmica. Assenti cambi di tempo repentini eccezion fatta per un ulteriore rallentamento sul finale. My last tears, come il titolo può suggerire, è una struggente ballad. Lenta, evocativa, sofferta. Un brano carico di pathos e melodia. Come genere impone. I solo si alternano tra note languide, sofferte e accelerazioni improvvise.
Battle on the ice è forse uno dei brani più interessanti. In particola per la scelta ritmica. Intenso il passaggio iniziale affastellante e inusuale. La canzone poi si apre in un solo al fulmicotone non privo di alternanza tra velocità e melodia. Save us fa tornare su scenari epici con caratteristiche orientaleggianti grazie all’utilizzo di un sithar nell’intro. Mid tempo espressivo, melodico, incalzante. Facemelt ha un andamento pachidermico. Tempo lento, suono compresso, riff pesanti e ossessivamente lenti.
La chitarra solista invece si destreggia in accelerazioni supersoniche. La scelta del tempo lento dà la possibilità a martongelli di poter offrire pirotecnici fraseggi in 32simi. Altro brano particolarmente ben riuscito è Vertigo. Un mix tra hard rock e metal. Riffing incalzante su tempi medi. La ritmica spezzata offre ottima dinamica alla composizione.
Nel suo complesso sembra essere un omaggio alla musica classica ma senza i soliti cliche. Hand of fury è un brano speed con inserti di sintetizzatori. Una corsa sfrenata in discesa tra una pioggia di note e aperture melodiche. Chiude il lavoro Embers. Canzone che si muove su scale minori armoniche e crea atmosfere tee e cupe. Un breve ma intenso viaggio tra valli oscure.
Concludendo. Il disco di Andy Martongelli è un disco perfetto per il genere affrontato. Non si può dire nulla di nulla. Registrato in modo perfetto, sonato altrettanto bene. Le canzoni sono ineccepibili. Se un limite si vuol trovare a questo magistrale lavoro è la contestualizzazione. Ormai la tecnica ha raggiunto livelli incredibili. Ma non solo. È cambiato il modo di esprimersi dei chitarristi. I riferimenti oggi sono diventati Animal As a Leader e, soprattutto ultimamente, Polyphia. Che hanno modalità espressive differenti dai riferimenti trattai in questa recensione. La velocità c’è ma non è la guida ultima dei giovani musicisti. Ma si tratta di una scelta stilistica.