Giunti al loro terzo disco (recensione), i Deep Valley Blues proseguono senza sosta la strada verso nuove composizioni. Sono riusciti a creare uno stile che li identifica senza dubbi, caratterizzato da differenti influenze. In questa intervista raccontano la loro storia, di come sono giunti a creare il loro sound, del significato di suonare dal vivo, del loro concetto di underground. Una chiacchierata ricca di spunti tutta da leggere.
Una presentazione per chi non vi conosce
Umberto (Chitarra): Ciao, noi siamo i DEEP VALLEY BLUES e veniamo da Catanzaro. Siamo quattro diversamente giovani che si sono posti l’ambizione di fare musica uscendo un po’ dai canoni classici di fare musica cercando di creare uno stile nostro che sia facilmente riconoscibile a chi ci ascolta e ci voglia conoscere.
Partiamo dalla vostra musica. Perché avete scelto lo stoner?
Umberto: Diciamo che lo stoner ha scelto noi, poiché noi sin dal primo EP non ci eravamo posti l’obbiettivo di suonare un genere nello specifico. La nostra visione della musica ci ha portato a cercare di far coesistere anche all’interno di uno stesso pezzo più generi. Infatti prendiamo spunti dai nostri più svariati ascolti per poi cercare di creare qualcosa di nostro, che sia stoner, blues, punk, metal o altro è per noi un concetto marginale.
Di cosa trattano e da dove nascono i vostri testi?
Giando (Basso e Voce): Ci sono varie ispirazioni all’interno dei nostri testi. Durante la stesura dell’EP vivevo un periodo molto tormentato: la voglia di non essere una preda degli eventi (Prey) o la descrizione di un mese da dimenticare (Hell of a month). Nel concept “Demonic Sunset” l’esperienza personale sui disturbi legati all’ansia mi portarono a scrivere una serie di brani, ognuno per una psicosi differente, citando anche personaggi del mondo dei media come Dana Scully di X-Files o Bray Wyatt della WWE per raccontare mitomania e fanatismo.
”III” cambia leggermente registro e se da una parte troviamo la narrazione delle paure e della loro risoluzione. In “Pills of darkness” ho trattato il vortice di ansiolitici in cui ci si ritrova quando non ci si riesce a calmare in nessuna maniera. Ci sono momenti anche ironici come in “Malley O’ Mucy” in cui viene trattato questo personaggio inesistente ma che potrebbe essere il classico cliente molesto o l’amico presuntuoso o ancora una persona che ti minaccia di querela perché gli hai fatto notare quanto è stato cretino a provarci con delle ragazze su facebook.
Su “Sun of the dead” vengono riassunti gli attimi finali del massacro di Jonestown, ed infine in “Epitaph” viene narrata la morte del bluesman Robert Johnson.
Come il pubblico recepisce la vostra proposta musicale?
Umberto: Devo dire che fino a questo momento la nostra percezione è che apprezzano il mix che cerchiamo di proporre. Abbiamo la sensazione che chi ci ascolta riesca a percepire l’intento di provare a creare ed ad avere una nostra identità ben precisa che già dal primo ascolto li possa incuriosire. Soprattutto viene percepito l’intento di suonare pezzi che girano e scivolano piuttosto piacevolmente. È una cosa che ci spinge a fare e a proporre pezzi sempre nuovi.
Giorgio (Batteria): A prescindere dal gusto musicale, chi ci ascolta riesce ad avere ben chiaro il nostro intento di voler fare musica per fare musica senza particolari pretese se non quella di vedere che ne viene fuori.
Perché avete deciso di suonare? Necessità o svago?
Umberto: Sicuramente prima di tutto svago perché secondo me la musica deve essere una via di fuga da tutte le problematiche e le incazzature che la vita ti mette davanti quotidianamente. Di conseguenza diventa una necessità nel voler esprimere in modo costruttivo quello che si ha dentro in musica.
Giorgio: Perché giocare a calcio non mi è mai piaciuto.
Il rock oggi è diventato un mondo per ‘vecchi’?
Giando: Fino a qualche tempo fa lo pensavo, ma non credo sia assolutamente un mondo legato al passato. Quello che vedo ultimamente ai concerti mi rincuora. Per ogni 10 persone ci sarà un appassionato di musica che decide di imbracciare lo strumento o solo di collezionare dischi. Siamo fiduciosi.
Umberto: Secondo me no, ma se così fosse potete darmi tranquillamente del vecchio (anche perchè ho 41 anni)
Giorgio: Io credo che il “rock” (per quello che oggi questo termine può significare) diventa un mondo per vecchi solo nel momento in cui si smette di accettare le sue declinazioni. Il rock è uscire dai confini, qualunque sia il contesto, il rock è rivoluzione.
Per qualcuno la musica live sta morendo. Secondo voi?
Umberto: Ma dal mio punto di vista non è che sta morendo, è che diventa sempre più difficile trovare posti che investano su proposte musicali inedite. Infatti i live in giro si fanno ma per lo più sono cover band o folk locale. Si guarda più al profitto.
Giorgio: La musica live non morirà mai, fare musica dal vivo però sta diventando sempre più complicato, ma si sa la ruota gira.
Cosa significa per voi suonare dal vivo?
Umberto: Per noi suonare dal vivo è come una magia, ci piace coinvolgere il pubblico, scherzare con loro, confrontarci tramite le emozioni della nostra musica con loro. Soprattutto è magico quello che si crea sul palco tra di noi. Sappiamo e siamo coscienti che qualsiasi cosa accada e/o qualsiasi difficoltà si venga a creare durante il live possiamo contare l’uno sull’altro. Venisse a mancare una sola cosa del genere non credo che sia soddisfacente suonare live.
Giorgio: Suonare dal vivo è la più preziosa opportunità di condivisione, un occasione di crescita a prescindere se sopra il palco o sotto, l’unico momento dove ci si può realmente misurare con se stessi prima di tutto.
Che cosa manca ai concerti di musica underground: promozione, visibilità, comunicazione?
Umberto: sicuramente un po’ di tutti e tre ma come dicevo prima mancano i gestori che abbiano voglia di scommettere su se stessi e sul loro locale promuovendo live di band inedite.
Giando: Manca vera coesione tra gli organizzatori e le band. Si può fare rete, ci si può aiutare e rendere qualcosa grande. Spesso non vediamo ad un palmo dal naso e facciamo nascere invidie per cose futili. In questo caso l’underground diviene una guerra tra poveri. Anche perché se c’è coesione l’evento lo si può organizzare anche in un sottoscala. La coesione porta all’interesse delle persone quindi profitto, il gestore è solo l’ultimo passaggio e non gli resta che adeguarsi se la controparte è abbastanza forte
Una band per cui vi piacerebbe aprire?
Umberto: Attualmente mi piacerebbe aprire il concerto degli All them witches o magari ai The Black Keys.
Giando: Black Rainbows o Church of Misery
Giorgio: Melvins o Killing Joke.
Una che vorreste aprisse per voi?
Umberto: Gli “All them Witches” o magari i “The Black Keys” (ahahahahhahahahah)
Giando: Ci hanno provato qualche settimana fa, non ci sono riusciti, vado sul folk locale di Mimmo Cavallaro.
Giorgio: Chiunque metta a disposizione i fusti della batteria nella backline, non ne ho mai potuto avere una!
Il vostro concetto di underground?
Giando: Ascolti e partecipazione ai live, ma non esistono le linee guida.
Giorgio: Essere prima di apparire.
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
Giando: In tutte e due i casi la risposta sarebbe l’atteggiamento delle persone, in un caso, quello negativo, meno aperto, invidioso e livoroso; nell’altro partecipativo e curioso.
Giorgio: Apparire prima di essere.
Una band underground che consigliereste?
Giando: Plastic Farm Animals e dico anche i Teverts.
Umberto: Attualmente per il mio tipo di ascolto sono due le band che al momento sono degne di nota e sono i “1000 MODS” e gli “All them Witches”. Anche se ultimamente avendo buoni riscontri non so nemmeno più se possono ancora rientrare nella tipologia di “band underground”
Giorgio: Band locali consiglierei “Carcano” e “Miss Fraulein”, mentre internazionali direi di tenere d’occhio l’ascesa dei “Black Midi” e di dare un ascolto a “Goose Down” se vi piace la musica elettronica emergente.
Una mainstream che ancora vi stupisce?
Giando: Ghost
Giorgio: Ne avrei davvero tante da elencare, ma per citarne alcune direi: King Gizzard and Lizard Wizard, Motorpshyco, Aphex Twin, Gojira, Thundercat…..
Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
Giando: A parte il nuovo disco, mi piacerebbe andare sempre oltre i confini regionali e della penisola per vedere apprezzata la nostra musica anche da chi non ci conosce.
Umberto: Il quarto disco ahahahahhaha, a breve ci richiuderemo nello studio di registrazione per uscire con il nostro quarto lavoro ufficiale.
Giorgio: un altro disco.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Giando: Quale era la formazione dell’US Soverato nel 2003?
Umberto: Quanti soldi abbiamo in banca ahahahah
Giorgio: La pasta al forno per cena vi va bene?
Un suggerimento per chi decide di iniziare a suonare oggi?
Umberto: Il mio suggerimento più spassionato è quello di suonare, suonare, suonare. Esprimere i propri sentimenti più profondi con la musica, cercare di creare qualcosa di proprio, ma soprattutto non prendersi troppo sul serio. In giro ci stanno troppe “rockstar” che forse è meglio stare coi piedi per terra.
Giando: Spegni il telefono e i social, dedica il tuo tempo agli ascolti, crea buone abitudini e tenta di essere il più curioso possibile.
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Umberto: Mi farebbe molto piacere intervistare Jimi Hendrix soprattutto per chiedergli se veramente si metteva gli acidi sulle tempie sostenute dalla fascia che teneva in testa ahahahahahhaa
Giorgio: Mi piacerebbe molto potermi fare un birra con Lucio Battisti semplicemente per parlare di dischi.
Un saluto e una raccomandazione a chi ti legge
Umberto: Vi ringraziamo ancora per questa intervista, per lo spazio che ci avete concesso. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziarvi della recensione che ci avete fatto poichè avete colto a pieno la nostra musica e come la proponiamo. A chi legge ribadisco che noi siamo i DEEP VALLEY BLUES e se volete approfondire la nostra conoscenza e la nostra musica ci trovate su tutti i canali social e multimediali. Grazie ancora, è stato un enorme piacere. Ciao.
Giando: Grazie per questa intervista a Tempi Dispari e grazie a chi ha perso un po’ di tempo per leggere le risposte di questi scapestrati. Per il resto sostengo totalmente ciò che ha detto Umberto. A prestissimo, fino a quel momento #swingfromthegallows