L’IMO di oggi è in realtà una domanda. Che cosa vuol collaborazione?
Da più parti, in molte risposte delle interviste per cercare le soluzioni al blocco dell’underground, viene evocato questo termine. Parrebbe la panacea di buona parte dei mali che ci affliggono. Ma, che cosa vuol dire esattamente collaborare? Collaborazione in che senso? Tra chi? Quali sono gli elementi che dovrebbero interagire di più e meglio?
Collaborazione tra le band cosa vuol dire? Che si devono andare a vedere i concerti gli uni degli altri? Oppure che ci si deve acquistare i dischi, il merch reciprocamente? Se così fosse, a cosa servirebbe? O si tratta di un maggiore scambio di idee? Magari significa che si deve lavorare all’unisono per un fine? In che modo? Che l’unione di intenti sia fondamentale, è un fatto. Dovremmo chiarire, tuttavia, quali sono questi intenti.
Fino a quando non lo faremo rischiamo di implodere, di insistere su strade che non ci portano da nessuna parte. In che senso. Nel senso che fino a quando la collaborazione è intesa solo per autoalimentarsi, per fortificare una base che già c’è, con limiti e problematiche, resteremo sempre fermi. Ormai appare chiaro quali sono i soggetti che collaborano e quali no. Chi non lo fa, non cambierà idea. E da parte nostra rischiamo solo di perdere del tempo cercando di convincere qualcuno che non vuole essere convinto.
Non sarebbe più produttivo concentrarsi su chi invece già agisce, che è già positivo, per tentare di ampliare i nostri orizzonti? A volte sembra di assistere alla narrazione di una relazione tossica. Un rapporto in cui uno dei due subisce vessazioni, soprusi, abusi, senza tuttavia riuscire a sganciarsi da queste dinamiche. Sappiamo le difficoltà in cui versiamo, eppure insistiamo nel volerle per forza sistemare senza capire che forse sarebbe il caso di lasciarle perdere.
Senza pensare che probabilmente non è il modo corretto quello che stiamo utilizzando per metterle a posto. Non abbiamo la collaborazione che desidereremmo? Sti cazzi, come dicono i francesi. Collaborare con tizio o caio, magari, non è poi così tanto conveniente se da parte sua non c’è predisposizione. Allora? Troviamo un’altra strada. Se l’intento è aprire l’underground a nuovi ascoltatori, dovremmo cercare soggetti che la pensano nello stesso modo.
Diversamente saremo sempre e solo noi a perderci cercando di far capire il nostro punto di vista. Lasciando scorrere il tempo senza renderci conto che lo stiamo sprecando. È il medesimo concetto della selezione che da più parte viene auspicata. E non si tratta di snaturare il nostro mondo. Si tratta di farlo crescere. Se l’intento è coinvolgere sempre più persone, come lo si potrà mai perseguire se resto fermo nel tentativo di includere chi già naturalmente dovrebbe esserlo?
Se su dieci band o artisti, nove non vogliono crescere perché costa fatica, vuol dire che andrò avanti con il solo che vuole percorrere la mia stessa strada. Che cosa mi possono mai portare gli altri che non posso raggiungere da solo? Condividendo il percorso con chi davvero vuole farsi conoscere, la collaborazione crescerà da sola perché il fine è lo stesso. Per quale motivo dovrei tenermi i rami secchi? Per un mal celato senso di unione, di appartenenza che in realtà so non esistere con chi non vuole crescere? Alla fin dei conti chi ci rimette sono io, non certo chi vuole ristagnare.
Sono io che mi fermo perché gli altri sono fermi. Invece dovrebbe essere il contrario. Vuoi fermarti? Nessun problema, ma io vado avanti. Non si tratta di egoismo o personalismo. Significa solo avere ben chiaro dove voglio arrivare e come. Credo che nessun gruppo o artista ad un certo livello tecnico, elevato o meno che sia non importa, prenderebbe mai con sé qualcuno che non è allineato. Una band prog non prenderà mai un elemento alle prime armi, tranne se non si tratta di un fenomeno.
Vorrebbe dire regredire. Allo stesso modo un gruppo alle prime armi non prenderà mai un elemento che suona jazz. Non saprebbe come esprimere ciò che il gruppo vuole dire. Quindi perché chi cerca di crescere dovrebbe collaborare con chi non vuole? Come non è facile trovare l’elemento giusto per formare una band o per sostituire qualcuno, ugualmente non è semplice trovare le persone giuste con cui interagire.
E come non ci si ferma fino a quando non si trova il musicista che ci serve, non dovremmo fermarci fino a quando non troviamo le persone migliori con cui collaborare. Fino quel momento, però, non possiamo stare fermi. Diversi gruppi che hanno impiegato diverso tempo per completare la formazione, hanno scritto nuovo materiale durante la ricerca.
Così come altre band si sono reinventate dopo un abbandono stringendosi attorno a chi è rimasto e di cui si poteva fidare. Perché non riusciamo ad applicare il medesimo atteggiamento anche per le collaborazioni? O il dire che nessuno risponde ai nostri inviti è solo una scusa per mascherare la nostra reale volontà di non andare avanti? È molto più facile dare la ‘colpa’ agli altri invece di ammettere la propria debolezza.
Forse è giunto il momento di lasciare andare chi non ha il nostro stesso passo per raggiungere chi cammina più velocemente di noi e magari imparare qualcosa su come ha fatto ad arrivare a quel livello.