delirio

Come sempre capita in questi casi, è difficile recensire il disco di un personaggio di caratura. Nello specifico parliamo di Freddy Delirio, storico tastierista dei DeathSS. La difficoltà non arriva dal fatto che sia un personaggio storico, a tutti può capitare un disco poco ispirato, quanto da tutta l’esperienza raccolta dal nostro.

Delirio è, oltre che polistrumentista, produttore e sound engineer da oltre 30 anni (docente Production Bachelor Jam Academy), proprietario dell’FP Recording Studio con centinaia di produzioni realizzate a livello internazionale. Si capisce che di pecche nel suo disco non ce ne possono essere. Quasi in nessun ambito. E così è. Il disco a livello sonoro, tecnico, di produzione è perfetto.

Suoni potenti quanto basta per avere il giusto wall of sound, cristallini sui solo, amalgamati alla perfezione, appunto. Resta quindi la sola possibilità di descrivere questo Platinum da un mero punto di vista emozionale, artistico e stilistico. Uno degli aspetti migliori della carriera di Delirio è l’eterogeneità. I suoi dischi non si ripetono mai. Sondato, sperimentato, approfondito un ambito, si sposta su un altro.

Certo, c’è quella che possiamo chiamare la coerenza stilistica, ma le architetture sonore sono sempre diverse. Platinum segue questa tradizione scostandosi dal precedente Cross. Stilisticamente potremmo definirlo un disco trasversale. La base di partenza è rock, più che metal, e da questa ci si addentra nei diversi sottogeneri.

Il lavoro rimane complessivamente oscuro evidenziando anfratti e nicchie poco piacevoli dell’animo umano. Forte l’influenza anche dell’horror rock non solo nelle atmosfere cupe ma anche nie testi. Dovendo indicare un brano su tutti, segnalerei la title track. Un’overture di 9 minuti che solca l’evoluzione del rock dagli 70 ad oggi. Indiscutibili gli omaggi. Dai richiami prog al rock classico.

Quello che più resta impresso è quello riservato a Vangelis prima e ai Pink Floyd poi. La canzone evolve fino ad un deciso cambio circa a metà. L’intro è molto progressiva con ritmiche spezzate e tastiera. Le chitarre poi incalzano fino all’apertura del ritornello. Le tastiere fanno capolino qua e là con suoni di synth e poche note. Il primo brusco cambio avviene a circa un terzo della canzone. Iniziano a farsi pressanti tempi diversi. Più dritti.

Ed entra il primo grande omaggio a Vangelis. I suoni sono quelli tipici del grande compositore. La divagazione si sviluppa fion a trasformarsi di nuovo e dare spazio al secondo omaggio. Quello dedicato al gruppo di Gilmour e soci. È soprattutto l’intervento solista a portare questa firma. Sia come suoni sia come interpretazione. È un vero sollazzo per l’apparato auditivo il risultato che scaturisce dall’unione dei due stili. Si torna poi ad un andamento più marcatamente prog metal.

Ritmi spezzati su suoni distorti ma non troppo. Rientra anche la voce, vero condottiero all’interno di questo viaggio nello spazio musicale. Il finale è affidato ad una frase narrata e ad ambienti space. Più canonica, anche se sempre oscura, la successiva Free Man all’interno della quale si può sentire un richiamo a Moricone nell’utilizzo dei cori.

Concludendo. Come da premessa, è un ottimo disco questo di Delirio. Un disco di rock che non si autocelebra. Anzi. Un rock che fa tesoro di ciò che è stato per portarlo ad un nuovo livello evolutivo. Un disco ispirato, scaturito dalla necessità di esprimersi e non dalla sola voglia di fare. Ha diversi livelli interpretativi. Lo si può apprezzare grazie alle melodie, per quanto possano essere malate, così come se ne possono gustare atmosfere e cambi, con un ascolto più attento. O, ancora, ci si può far trascinare dai testi, dalle intenzioni dell’autore. Un lavoro consigliato a chi sente che la musica non deve avere confini di nessun tipo, men che meno, di genere.

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