Le Wicked Asylum confermano l’ottimo risultato dei singoli che hanno anticipato l’uscita del loro ultimo lavoro. Un passo in avanti in tutto e per tutta la band. Il suono, a livello generale, si è incupito e appesantito. Sono molteplici e più strutturati i cambi all’interno delle composizioni. Fa capolino qua e là anche una leggera vena ‘epica’ intesa come maestosità.
Maturazione quindi, sia dal punto di vista compositivo sia strumentale. La padronanza degli strumenti è aumentata e questo permette di poter ‘giocare’ molto di più e molto meglio con note e tempi. Non ci sono, come erano assenti anche nei lavori precedenti, ostentazioni. La band suona e lo fa al meglio, per se stessa, per poter ben esprimere il proprio messaggio. Il disco apre con Kintsugi, già recensita. Prosegue Crystallised. Questa è il primo vero distacco del cordone ombelicale con il primo disco.
Si voglia per le metriche del cantato, più particolari, ricercate, non canoniche. O per la sezione strumentale. È un continuo cambio di tempi, intenzioni, atmosfere. La band si spinge oltre il prog per impatto arrivare a lambire il djent in taluni frangenti. Questo anche grazie ai suoni granitici. Blastbit alternato a parti cadenzate danno un’ottima dinamica complessiva. Il resto degli strumenti si adegua alla perfezione.
Entrando maggiormente nel dettaglio si può notare anche una sfumatura horror rock. Segue Lacerate. L’oscurità non si placa. Anzi. I ritmi si fanno meno serrati e per questo più monolitici. La voce torna ad essere più melodica. Ottimo il break centrale che rallenta per dare spazio ad un frangente narrato. Le barricate sonore si rialzano subito dopo.
Ancora un cambio verso i ¾, prima del solo. Ottimo stacco di basso distorto che conduce all’intervento solista. Base minimale. Il tono si rialza per condurre la corazzata fino al finale. Una nota alla batteria sempre diversa, dinamica mia scontata. Ancora prog modello Nevermore per Mistress of Dead. Mid tempo iniziale serrato che apre ad un cambio aperto.
Nuova evoluzione prima del ritornello con un passaggio epic. È ancora la sezione ritmica a fare una grande differenza. Inarrestabile. Un pugno in pieno volto che stordisce e sorprende. Il tutto senza fretta. O, meglio, alternando passaggi velocissimi a momenti cadenzati se non addirittura lenti. Il tutto in salsa heavy. La pesantezza non viene mai meno.
Anche quando pare di poter respirare, è solo un’illusione. Il disco incalza, sempre. Ben strutturato l’intervento solista. Veloce quanto basta per tenere alto il ritmo ma non troppo da risultare fuori posto. Il finale è una corsa a rotta di collo inseguiti da una mandria branco di leoni inferociti. Si prosegue con Weaker than thee. Qui ci si imbatte in dissonanze e tempi dispari.
La velocità non è elevata, il che dà la possibilità agli strumenti di costruire architetture tetre, cupe, disperate, pesanti. I cambi sono molteplici sia a livello ritmico sia armonico il che lancia la canzone in un ambito techno thrash. Per quanto riguarda le atmosfere horror e malate il primo riferimento che viene in mente è il King Diamond più ispirato. Non certo per lo stile di cantato per le atmosfere.
Ottimo break a ¾, quasi hardrockeggiante ad introdurre il solo di chitarra. Anche in questo caso centellinato, perfettamente studiato. Un’improvvisa impennata scombina tutte le carte in tavola conducendo alla chiusura. Heart in two dà un altro spaccato dello stile della band. È il basso a dettare legge, anche se non in primissimo piano. Lo fa distinguendosi dalla linea ritmica generale.
L’andamento è sempre molto cupo, compresso. Ritmi spezzati si alternano a sfuriate monolitiche. Un brano diretto pur se non scevro di cambi. Come lo stop a poco più di metà con l’inserimento di un carillon. Spaventoso e come effetto e come risultato. Il rientro è su coordinate melodiche tutt’altro che standard. Così come il solo, disturbante. Ciò che conta per la band sono le sensazioni.
E sanno come farle emergere. Si prosegue con Wachizashi che funge da intro per la successiva Drown. Ci si addentra in un budello oscuro attorniato di magia. L’immagine che sale alla mente è quella di una dama ottocentesca che scende nelle segrete di un antico palazzo. Una scala a chiocciola abbastanza larga ma scivolosa. Nessuna finestra. Solo una torcia nelle mani. Le preti sono umide di muschio.
Improvvisamente davanti si mostra una porta. Da dietro rumori che paiono urla. La tensione sale. Il brano torna all’intro percussivo. Lentamente la dama apre lo stipite. Mette dentro la testa. Una fioca luce illumina vecchi tomi e lambicchi. In un angolo uno scheletro appoggiato ad un tavolo. Sopra una lettera di addio. Per sapere come finisce si deve arrivare alla seguente Walk away. La dama scappa impaurita.
Impaurita perché sa che quelle ossa erano sangue del suo sangue e l’inquietudine che le scorre dentro viene da lontano. Il ritmo inarrestabile del brano perfettamente si adatta all’immagine di una fuga. Senza voltarsi. Fino al riemergere all’aria aperta ma sempre con il cuore in gola. Allo stesso modo la canzone non si ferma.
Non si bloccano le corse, i cambi e le sferzate sul viso dei rami del sentiero intrapreso per allontanarsi. Questo viene sottolineato dal solo che non fugge su note velocissime. Più che lodevole la ripresa alla fine dell’intervento solista. Ritmo cadenzato, muro di suono con uno spiraglio di melodia. Il finale è al fulmicotone. Madness Returns riapre la strada alla corazzata Wicked Asylum.
La cupezza di riveste di pesantezza. Ritmo sostenuto ma non troppo. Voce melodica e narrante. Anche in questo frangente ricchi e molteplici sono i cambi. Sia a livello strumentale sia vocale. Nessun riferimento immediato, diretto. Si alternano passaggi in chiaroscuro sospesi tra morse cadenzate a leggere aperture. Presente un notevole inserimento anche qui prima del solo.
Mutamento radicale anche durante l’intervento solista. La velocità della batteria si impenna. Arriva a dominare una doppia cassa in sedicesimi davvero ottima. Arriviamo così alla penultima traccia, Song of Nothing. Il brano inizia lento per poi esplodere su ritmiche serratissime. Numerosi i cambi di tempi e di atmosfere, anche se a vincere è sempre l’oscurità.
Davvero ottimo il contrasto creato tra base strumentale pesantissima e voce melodica. Lode al solo che richiama uno stile thrash di metà anni ’80. Non tanto per la velocità di esecuzione quanto per il gusto e le scale scelte. Chiude il lavoro Remember you. Quasi un urlo di liberazione. La fine di un viaggio in meandri oscuri del proprio animo. Il ritmo è andante per la maggior parte del brano con un wall of sound notevole. La voce vola sui muri creati dagli strumenti. Perfettamente strutturato il break centrale che segna un piccolo cambio di passo. Davvero notevole il lavoro della batteria dopo il solo. Ancora una volta variegato e non scontato.
Concludendo. Un disco notevole quello delle Wicked Asylum. Un lavoro che mostra una band in crescita, perfettamente amalgamata e compatta. Soprattutto un gruppo che sperimenta e non ha paura di osare saggiando i propri limiti e oltrepassandoli. Questo loro ultimo lavoro è particolarmente sentito dalla band, come hanno dichiarato in una intervista. E questo sentimento arriva all’ascoltatore. Musicalmente si tratta di un vero viaggio sonoro caratterizzato da lotte interiori con i propri demoni. Un cd consigliato a tutti coloro i quali cercano una evoluzione nella musica e a tutti quelli che amano i bei dischi.