Isometry

Le opere prime, oggi, non sono più dei semplici debutti. Spesso sono dischi maturi, completi, con pochissime sbavature. È il caso di Break the Loop dei torinesi Isometry. Un disco prog con tutti i crismi. Tecnica sopraffina, brani complessi ma allo stesso tempo fruibili. Produzione ineccepibile. Ciò che maggiormente salta all’orecchio è la capacità della band di alternare frangenti super tecnici a momenti più ‘leggeri’, space, onirici. Una caratteristica che dona al disco una grande varietà di atmosfere.

Per avere un ‘confronto’ stilistico si devono per forza chiamare in causa i grandi nomi del prog metal. Meno di quello, si è fuori scala. Ed è proprio il riferimento del cantato ad uno di esse che, in taluni brani, rappresenta un po’ il tallone d’Achille del disco. La complessità dei brani non permette un track by track. Si può solo cercare di dare un’idea d’insieme e stimolare all’ascolto. Cominciamo col dire che ci troviamo di fronte ad un concept. Dettaglio non di poco conto.

Un racconto che ha caratteristiche ben precise sia temporali sia di ambientazione. A livello generale tutto il lavoro suona come la colonna sonora di un film cyberpunk. E non è un modo di dire. Ascoltandolo l’idea che emerge è proprio quella. Di star vedendo un film dai contorni distopici ambientato in un futuro prossimo non ben specificato dove dominano androidi, realtà virtuale e una società perfetta.

Per molti, ma non per tutti. Fin dall’intro dell’intero disco si è catapultati in questo mondo di luci al neon, oscuro, piovoso. Un mondo in cui si cammina tra le strade di megalopoli che non dormono mai. Agglomerati urbani dove l’aspetto umano ha perso lucidità fagocitato dalla tecnologia. Strade sulle quali ci si può perdere in men che non si dica sopraffatti dalle insegne troppo luminose o dentro se stessi.

La band evidenzia perfettamente questo stato d’animo. Come mette in luce, attraverso la dinamicità dei brani, la lotta che ogni singolo abitante ha in corso dentro di sé per sopravvivere come essere umano. Si ascolti Outcast per avere la precisa idea di questa immagine. Il protagonista risulta quasi disperso in un mare di pensieri. Annegato da una folla in cotante movimento ma da solo.

Una caratteristica che colpisce costantemente nell’evolvere dei brani è la loro maestosità. La cura con cui sono stati costruiti. La sensazione è che gli Isometry abbiano avuto sempre ben presente che cosa volessero trasmettere e hanno costruito ogni canzone di conseguenza. Non è un ‘dettaglio’ da poco. È un aspetto che non solo dona uniformità all’intero lavoro ma avvolge l’ascoltatore, lo trasporta emotivamente all’interno della storia.

L’aspetto emotivo è un altro tratto caratteristico del disco. Gli inserimenti orchestrali fungono da levatrici per i sentimenti. Così come l’alternarsi di momenti puramente prog con passaggi semplicemente rock. Medesima osservazione vale per il buon utilizzo dei cori. Per essere un’opera prima è tutto al proprio posto. L’evocativià pare essere il fulcro dell’intero disco.

Riuscire a catturare l’ascoltatore, tenerlo fermo fino all’ultima nota. Gli stessi passaggi più marcatamente tecnici non sono scevri di stupore. Sono come onde enormi che salgono lentamente per poi travolgere senza lasciare fiato. Se dovessimo indicare due canzoni che meglio rendono quanto fin qui detto, potremmo indicare Final reconnection e X. La prima per l’infinita varietà di cambi.

Davvero contiene di tutto. Dal prog al jazz, e non sono lo richiami. Allo stesso modo la seconda. Tuttavia quest’ultima ha dalla sua un utilizzo della ritmica davvero impressionante. Questo è preso in prestito direttamente dal djent ma inserito in un contesto meno esasperato. Una scelta inusuale che arricchisce un disco già di per sé variegato.

Concludendo. Per essere un’opera prima questo disco degli Isometry è incredibile. La band pare essere più che matura per costruire dei brani complessi, variegati, coinvolgenti. Ma in quanto opera prima non può essere priva di dettagli da ottimizzare. Il riferimento, come in apertura, è all’eccessivo richiamo a James Labrie nelle metriche, nelle melodie e nella tecnica del cantato. Questo rischia, ad un ascolto superficiale, di fa etichettare il gruppo come l’ennesima copia di. Mentre non è così.

Difatti i momenti migliori la voce li esprime quando esprime solo se stessa senza voler essere come… Fortunatamente ciò avviene per la maggior parte del disco. Eppure gli episodi iniziali che più richiamano la band di Petrucci e soci, rischiano di inficiare quanto di buono avviene dopo. Stando così le cose è meglio correre ai ripari piuttosto che veder sminuito il proprio lavoro perché troppo derivativo.

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