Un disco per essere rock deve per forza avere le chitarre distorte? Ascoltando At the edge of shadow degli April’s fools, la risposta è decisamente no. Quello dei nostri è un disco rock con tutti i crismi, ma senza un filo di distorsione, completamente acustico. Già questo dovrebbe un’idea ben precisa dell’intensità del lavoro e della sua qualità.
Gli April’s fools prendono tutti gli insegnamenti arrivati da anni di unplugged, ne fanno tesoro, li interiorizzano alla perfezione e li ripropongono in una formula personale. Insomma, un vero lavorone. Anche se, ad ascoltare il disco, pare che alla band questa modalità espressiva sia venuta in maniera piuttosto naturale. Un aspetto che subito salta all’orecchio è la capacità dei nostri di sfruttare al meglio quasi tutte le possibilità e le sonorità che l’acustico permette.
E, conseguenzialmente, costruire architetture sonore variegate ed eterogenee. Tradotto, all’interno del cd c’è di tutto. Dal blues al funky, dalla ballata a passaggi prog. Ogni elemento è dosato alle perfezione per essere reso ottimale alla narrazione, alle atmosfere che i brani richiedono. Non manca nessun aspetto di un disco rock. La dinamica strumentale è particolarmente accentuata con continui sali scendi di intensità. A livello ritmico il plauso va a tutti.
Dalla sezione ritmica che, per quanto minimale, non è mai ferma, mai uguale, per arrivare ai passaggi solisti. Questi ultimi puliti, mai prolissi, sempre circostanziati. Nessun elemento primeggia sugli altri. Ogni strumento ci mette del proprio. Quello che ne emerge è un sound pieno, coinvolgente, dinamico. Molto interessanti diverse ‘trovate’ sulla chitarra come ritmiche costruite su armonici o arpeggi inusuali. In ultimo, non certo per importanza, la voce.
Uno dei migliori connubi con la base strumentale mi sia capitato si ascoltare. La timbrica è calda, non molto alta. Mancano impennate improvvise con acuti al limite del falsetto a richiamare voci d’altri tempi. Ma questo è uno degli aspetti migliori. Sono assenti influenze dirette con la tradizione rock. Se una somiglianza si vuole trovare bisogno arrivare ai giorni nostri.
Giusto a livello indicativo, l’intensità della voce può essere paragonata a quella di Chad Kroeger o di Aaron Lewis. Meglio ribadire, solo a livello indicativo. Il track by track per questo disco risulta inutile. Descritte le caratteristiche meglio scoprire con le proprie orecchie le chicche che il lavoro regala. Anche perché i brani sono talmente variegati che descriverli rovinerebbe il godimento dell’ascoltarli.
Se dovessi indicare quelli che più mi hanno colpito segnalerei Enough Said che con il suo incedere sempre diverso, che coinvolge generi differenti con passaggi inattesi, tiene incollato l’ascoltatore fino all’ultima nota. E Hiden spot per l’utilizzo sapiente degli armonici e l’atmosfera polverosa che lentamente si trasforma in un’architettura metropolitana dai contorni quasi fusion.
Concludendo. Gran bel lavoro quello degli April’s fools. Incalzante, sorprendente, melodico, evocativo. Nonché ottimamente suonato. Pur essendo all’oscuro di quello che è stato il progetto della band, possiamo dire che se lo scopo era sorprendere e coinvolgere, è stato pienamente raggiunto. È un disco che non annoia mai. Neppure dopo cinquemila ascolti. Si è e si sarà sempre trasportati in mondi interiori di diversa colorazione. Ora più scuri, ora più solari, a tratti malinconici e per certi altri versi romantici. Quello che certamente rimarrà impressa è l’intensità di questo cd, la sua carica, la sua potenza, espressa senza un filo di distorsione. E, forse, proprio per questo così efficace e incisiva.