Ma artisti si nasce o si diventa? E, se lo si diventa, quando accade? Quando possiamo ritenerci tali? Secondo il dizionario, artista è colui che esprime se stesso attraverso un’opera creativa o interpretativa. Secondo questa spiegazione, quindi, tutti possono essere artisti. È sufficiente esprimere i propri stati d’animo, i propri sentimenti tramite una formula espressiva. Che si tratti di musica, pittura, scrittura, fotografia, è ininfluente. L’importante è esprimere se stessi.
Ma è davvero così? È davvero sufficiente descrivere cosa si sente in un dato momento per essere definito artista? Oppure esiste una strada diversa? E gli artisti innati, quelli, super talentuosi, dove si collocano? Tra i geni? Personalmente ritengo non basti creare qualcosa per essere considerato un artista. Le persone che comunemente indichiamo con questo termine più che caratteristiche precise, hanno alle spalle un percorso preciso. Non foss’altro che per lo sviluppo della propria capacità espressiva.
Ecco, sviluppo. Credo sia questa la parola chiave per essere identificato come artista. Senza crescita, senza l’affinamento delle proprie capacità espressive, non ci può essere arte. Anche se si tratta di arte naif o minimalista una crescita è necessaria. C’è una bella differenza tra la opere giovanili di Picasso e quelle della maturità. In una prima fase il pittore era semplicemente una persona che cercava di tirar fuori quello che era il proprio mondo interiore. In seconda battuta ha trovato la strada giusta.
Questo percorso, questa evoluzione, è un passaggio che a molti sedicenti artisti sfugge tante volte. Spesso si ha l’idea che vogliano arrivare subito alla fine del viaggio senza i passaggi intermedi. Senza gli errori, i cambi di direzione, la sperimentazione. Tuttavia se sottraiamo questi fattori alla formula, viene a mancare un tassello importante. Facciamo un esempio musicale. Passa una enorme differenza tra quando una persona inizia a suonare uno strumento e quando affiora la padronanza.
Nella prima fase il suo vocabolario, il suo modo di esprimersi sarà semplice, tentennante, derivativo. In seguito diverrà più completo, non necessariamente più complesso. Per rimanere in ambito artistico, lo stesso Fontana, prima di arrivare ai famigerati e controversi tagli nella tela, ha affrontato un percorso ben preciso. Quelli non sono semplici sforbiciate su una tela bianca. Sono l’espressione di quello che l’artista ha imparato, interiorizzato e superato fino a quel momento. Non capire questo passaggio ne banalizza il risultato. Idem per qualsiasi altro campo espressivo.
I primi film di Cameron non sono certo come quelli più maturi. Certo, le prime opere tante volte vengono definite le migliori perché quelle più istintive, quelle più urgenti. Le realizzazioni nate per una necessità interiore e quindi quelle più intense. Verissimo. Ma sono anche quelle meno consapevoli. Quelle che mostrano in potenza ciò che potrebbe avvenire proseguendo sulla strada evolutiva. Ora, la domanda è: perché questi concetti non dovrebbero valere per gli artisti indipendenti e underground? Per tutti c’è, che lo si voglia o no, una differenza anche solo tra il primo e il secondo disco.
Se così non fosse, qualcosa non va. Le persone, a loro insaputa, cambiano ogni giorno. Perché, quindi, non dovrebbe cambiare anche la loro arte? Da qui un’altra conseguenza. Essendo conscio di ciò, io, artista indipendente, come posso pretendere di esordire già con un prodotto maturo, frutto di anni di esperienza nel settore, mesi di sperimentazione? La risposta dovrebbe essere: non posso. La mia opera prima, per forza di cose, è un primo passo.
In quanto tale avrà qualche aspetto da migliorare, da modificare. O, ammettendo che sia già perfetta così, dovrò fare qualcosa di diverso in seguito. Ma ne ho le capacità, oppure ho messo tutto in quel primo disco rimando a secco di idee? Ecco che si inserisce nuovamente il concetto di progetto e consapevolezza di ciò che si ta facendo. Anche se metto tutto nel primo disco, devo avere già idea di come posso evolvere. Inevitabilmente dovrebbe essere così per il semplice fatto che il mio modo di sentire la vita sarà cambiato da quel primo disco.
Domani, scrivendo il seguito della mia storia artistica, affronterò gli stessi temi in maniera differente. Questa la teoria. La pratica ci dice, purtroppo, una cosa diversa. Ci dice che molti, trovata la formuletta che funziona, non si spostano più. Non cercano di andare avanti. Si negano la possibilità di scavare all’interno di se stessi per trovare nuove strade. Ed ecco che torna la domanda: sono artisti?
Le stesse persona talentuose, alle quali esprimersi attraverso una precisa forma d’arte, se non evolvono, perdono il loro talento. Lo fossilizzano. Va poi tenuto presente che, tante volte, proprio i talenti, non sono mai soddisfatti del loro lavoro. Hanno sempre idea di poter fare di meglio o di poter andare oltre. Ecco un altro concetto che nell’underground sta venendo a mancare sempre più.
L’idea di poter uscire dagli schemi, di poter trovare una voce propria che ci caratterizzi, ci distingua. Troppe volte ci accontentiamo di riuscire ad assomigliare a qualcun altro. Ma la somiglianza non è personalità. Essendo accostati a qualcun altro non diamo spazio a noi stessi. E non ce n’è ragione.
Alla fin dei conti tutti gli artisti cui ci ispiriamo hanno avuto il coraggio di seguire una propria strada, la propria musica. Diventando quelli che oggi chiamiamo i classici. Oggi abbiamo anche una fortuna maggiore rispetto a loro. Sappiamo benissimo quelle che sono le esigenze del mercato e come scrivere qualcosa che possa vendere.
Sta a noi la scelta. Alla fin dei conti è solo una questione di coerenza e coraggio. Coerenza di essere se stessi e coraggio di far crescere la nostra arte. Dobbiamo recuperare questa strada per poter uscire dal blocco che attanaglia il nostro mondo. Dobbiamo ritrovare la nostra essenza.