Io ascolto di tutto…tranne… quante volte abbiamo detto o abbiamo sentito dire questa frase? E quante volte ci abbiamo creduto o ne siamo stati convinti? L’elemento che mette in dubbio l’affermazione è, ovviamente, il ma. Due lettere che possono cambiare il senso di tutta l’affermazione. Ma siamo sicuri che davvero siamo capaci di ascoltare qualunque cosa ci emozioni?
O siamo schiavi di imposizioni culturali e di genere? Una volta chi ascoltava rock o, meglio ancora, metal, non poteva azzardarsi a dire di ascoltare anche pop. Era tollerato il blues, il jazz, ma non il pop. Men che meno, per un certo periodo, l’hip hop o la musica elettronica. Soprattutto se questa era house. Accuse di tradimento volavano come foglie al vento. Come potevano essere compatibili generi così distanti?
Per fortuna, con l’andare del tempo e l’evolvere della musica, certe barriere si sono affievolite. Ma solo perché taluni elementi sono stati integrati nella macroarea rock. A guardarsi ben in giro , oggi, parlando con le nuove generazioni, quei limiti di ‘coerenza’ paiono ancora più assurdi di quanto già non fossero. E si.
Ai nostri giorni i giovani, quelli che amano la musica, non si pongono problemi di limiti di genere, di linguaggio, di personaggi. Se un brano piace, piace. Che sia pop, brutaldeathmetalcore, synthwave, goth, deephouse, poco conta. Ciò che importa è che mi emoziona. Che mi piace. Visto sotto questo punto di vista l’approccio alla musica dei più giovani, non pare essere così negativo. Anzi.
È decisamente più costruttivo del ‘ascolto solo questo perché questa è vera musica e il resto fa schifo a prescindere’. Probabilmente è uno dei più grossi gap intergenerazionali che abbiamo oggi. Il non riuscire a vedere nella visione dei più ‘piccoli’ un’apertura a tutto ciò che semplicemente piace. La discriminante non è: è rock, è blues, è hip hop e quindi non lo ascolto. No. È piuttosto: bello il giro di basso.
Mi salvo la canzone in playlist. Non penso al disco. Magari possono pensare di seguire l’artista per vedere se altre cose possono piacergli. Se ci sono, magari prendono il disco. Diversamente non scartano nulla. Prendono quello che gli piace e basta. E noi, vecchie cariatidi dalle orecchie tappate, dove siamo in tutto questo contesto? Siamo sui pulpiti a urlare: non capite nulla.
Non si può sentire roba da classifica e subito dopo il gruppo più marcio del pianeta. Non è coerente. Certo, non lo è per noi. Ma noi, non siamo la vita. Non siamo l’andamento dei gusti musicali. Neppure siamo depositari di chi sa quale assoluta verità. Abbiamo avuto la possibilità di poter vivere un certo periodo della musica. Anche qui, pop o rock non fa differenza.
Quanti 45/50nni si sono trovati ad apprezzare band che in giovinezza non avrebbero mai ascoltato? Siamo stati accompagnati dalla corretta colonna sonora per la nostra giovinezza. Note che anche ai nostri genitori, abituati a ben altro, facevano rizzare i capelli in testa. E noi stiamo facendo né più e nè meno la loro parte. Dobbiamo ammetterlo, la vita, se non superato, ci ha almeno affiancati. Ora sta a noi decidere se cercare di tenere il passo o lasciare che ci lasci indietro mentre mestamente ricordiamo i tempi che furono.
Ovviamente dicendo che erano meglio. Onestamente, ritengo che di cosa da dire, di messaggi da inviare, ne abbiamo ancora tanti. Il problema sta nel come li lanciamo, nel come parliamo. È questo che dobbiamo migliorare. La vita evolve, dobbiamo evolvere col essa. Oppure, accettare in buon ordine di essere stati messi da parte e lasciare spazio e chi invece prova a capire.
Come sempre, è solo una questione di scelta. Scelta che, in verità, dovrebbe già essere stata compiuta nel momento in cui decido di incidere un disco e pubblicarlo. Da lì devo sapere bene quello che sto facendo. Come so che che il cd per intero sarà difficile da piazzare. So anche che oggi non è quello che conta. Smettiamola di arrancare dietro ad un futuro che inizia a non appartenerci più. Uniamoci ad esso. Evolviamo. Verissimo, non è facile. Ma non è neppure impossibile.