Iniziamo dalla fine: il nuovo disco dei Cure è fenomenale. Onestamente non lo stavo aspettando con particolare trepidazione. Sono sempre molto scettico quando una band ci mette troppo tempo e pubblicare del nuovo materiale. Il rischio è il tentativo di remake di ciò che è stato. Remake troppo spesso privo di contenuti. Sarà stata forse questa perplessità a farmi rimanere ancora più colpito da quello che i nostri hanno prodotto. Non si tratta di una raccolta tipo ‘i nostri anni migliori’. Tutt’altro.
È un disco carico, denso, ammaliante. Ovvio che l’esperienza li abbia portati a premere più su certi tasti rispetto ad altri. È sicuramente uno dei dischi più oscuri che i nostri abbiamo mai partorito. Sembra di essere tornati ai tempi di Disintegration, ma con una consapevolezza diversa. Alla luce delle esigenze contemporanee del mercato, i Cure avevano due scelte, dal mio punto di vista.
O tentare la carta commerciale, mossa che non gli è così estranea. Oppure, guardare a ciò che sono stati e sono diventati. Hanno deciso per questo secondo sentiero. Ovvio, non è stata una scelta di buon cuore o dettata da coerenza stilistica. Dietro c’è sempre l’occhio a come va il business. Diversamente non potrebbe essere. Tuttavia i Cure sono riusciti a conciliare i due punti di vista, quello etico e quello economico. Detto questo, non si può aggiungere molto altro.
Musicalmente sono i Cure ancora più Cure. Un po’ come i Metallica del Black Album. Sono stati enfatizzati gli aspetti più peculiari del loro lato oscuro, quello che più colpisce chi non li conosce e più piace a chi li segue. Diciotto anni per un disco che di per sé è senza tempo. Non che non sia cambiato nulla. Anzi. Molto è cambiato. Tranne l’attitudine e la voce di Robert Smith.
Ecco forse l’aspetto più sorprendente. All’età di 65 anni Smith canta ancora come un giovincello. Non solo a livello timbrico, soprattutto come intensità. Certo, va fatta la prova del nove dei concerti. Su disco tutto è possibile. Ma diciamo che le premesse non sono poi così male. I Cure sono riusciti a trovarsi un posto tra quei rarissimi gruppi che nonostante non si discostino molto dalla propria linea originaria, non stancano mai.
E parla non un fanatico, ma solo uno che li conosce e li segue da moltissimo tempo. Un disco che certo dà lezioni di buona musica a moltissime uscite contemporanee di gruppi storici che non sapendo più cosa dire non fanno altro che ripetere se stessi all’infinito.